Già in condizioni normali, coi milanesi non si scherza. Efficienza, rapidità, precisione, una certa stronzaggine di fondo. Figuriamoci se poi i milanesi in questione si devono muovere in un contesto internazionale, con gli occhi di tutto il mondo addosso: sanno essere più rigorosi degli svizzeri. Così già da domani sera, dopo che Expo avrà chiuso i battenti per l’ultima volta, l’immensa area espositiva di Rho-Pero sarà invasa da camion e gru, carrelli elevatori e ponteggi, migliaia e migliaia di operai. Smontare tutto, smontarlo in fretta è la parola d’ordine dell’alba del giorno dopo: lì, ad Expo, debbono restare in piedi soltanto poche cose, e già individuate. La Cascina Triulza (che del resto già stava lì da molto prima), il padiglione Italia, forse il padiglione zero. Il resto, via. Ogni Paese si riporterà a casa la sua roba, altri sponsor (tipo Coca Cola) sposteranno il loro stand in centro a Milano, altri ancora vai a capire.
Questa la premessa. Il passaggio successivo è: che fine farà la Macchina di Santa Rosa, Fiore del cielo (“Unico monumento italiano presente ad Expo”, come dicono Oscar Farinetti e Vittorio Sgarbi) che da sei mesi è esposta all’esterno del padiglione di Eataly? Risposta logica e scontata: riprenderà la strada di casa, Viterbo. Già, ma ad oggi – a quanto risulta a Viterbopost – nulla è stato deciso da parte del Comune per riportare il prezioso simbolo nella città dei papi. Nessuna ditta è stata incaricata. E soprattutto: nessun fondo è stato stanziato. E va bene che non è (ancora) il caso di fare allarmismi. E va bene che in Italia c’è sempre tempo per fare le cose all’ultimo momento. E va bene che come a Palazzo dei priori organizzarono, a fine di aprile, il viaggio di andata, sapranno ugualmente impostare benissimo il ritorno. Ma visto che i giorni – anzi, le ore – scorrono veloci, e che tra l’altro da Expo hanno già scritto per sollecitare lo smontaggio e la rimozione del Campanile che cammina, sarebbe il caso di darsi una mossa. Anche perché, come detto, pianificare l’operazione non è cosa semplicissima.
Intanto serve la delibera comunale che stanzi i quattrini e dia formalmente l’incarico ad una ditta (all’andata ci pensò Ciorba). E poi lassù la stessa ditta dovrà occuparsi di tutti i passaggi burocratici: permessi di accesso all’area di mezzi e uomini, tempi di lavoro e poi il viaggio di ritorno, tenendo conto che i trasporti eccezionali sono soggetti a restrizioni d’orario per transitare sulla rete autostradale. Insomma: con tutto il traffico che ci sarà lassù per smontare questo o quel padiglione, bisognerà essere molto fortunati per trovare un buco.
Il sindaco Michelini, comunque, predica ottimismo: “Ci stiamo lavorando – dice a Viterbopost – e credo che come abbia raggiunto Milano oltre sei mesi fa, la Macchina tornerà a casa senza problemi. I soldi per lo smontaggio e il trasporto? Ufficialmente ancora non ci sono, ma ci saranno presto, perché stiamo aspettando il contributo che spetta alla rete delle grandi Macchine a spalla da parte del ministero dei Beni artistici e culturali”. Quel contributo di 200mila euro (da dividere per quattro con Nola, Palmi e Sassari) che il ministro Franceschini ha assicurato come imminente. C’è da dire che ad aprile il viaggio fu pagato per la maggior parte da un paio di grossi sponsor privati.
Oggi si parla di diecimila per euro per il ritorno, ai quali però il Comune vorrebbe aggiungere un ulteriore passaggio, e cioé il riassemblaggio di Fiore del cielo in piazza del Plebiscito (angolo tra Palazzo dei priori e Prefettura, al centro della piazza invece potrebbe andare una ruota panoramica) in occasione del Giubileo e delle festività natalizie. Ma servirà prima una sosta in officina, per ritoccare la livrea della Macchina, provata da sei mesi trascorsi all’aperto e dunque, comprensibilmente, un po’ stinta e usurata, e poi tutte le operazioni di ancoraggio all’esterno per resistere alle intemperie invernali. “Per i primi giorni della prossima settimana saremo pronti a riportarla a casa”, tranquillizza ancora Michelini. E c’è da sperarlo. Altrimenti c’è il rischio che la Macchina resti in eredità a Milano: città nobilissima, certo, ma che ha già il Duomo, il cenacolo di Leonardo, il Castello sforzesco, il piede destro di Paolo Maldini… Sarebbe davvero troppa grazia lasciargli anche Rosetta nostra. E poi come la mettiamo con quel gelosone di Sant’Ambrogio?
(ha collaborato Nicola Savino)