Valerio Marsili, quanto è contento di giocare a Viterbo?
“Tanto, tantissimo. E ogni giorno che passa mi convinco sempre più di aver fatto la scelta giusta”.
Vabbe’, lasciamo perdere le dichiarazioni politicamente corrette…
“No, è la verità vera. Ma quando ho firmato per la Stella Azzurra non era così”.
In che senso?
“Venivo da un campionato in A2 di basket con la Fileni Jesi. E soprattutto mi avevano dato certezze che sarei rimasto in quella squadra e in quella categoria”.
Invece?
“Invece, nonostante avessi già cominciato ad allenarmi a Jesi, mi dissero che non andavo più bene”.
E così si è ritrovato disoccupato…
“Più o meno, anche se a 28 anni è una parola un po’ grossa”.
Comunque senza squadra.
“Sì, mettiamola così. Negli anni scorsi, ho sempre firmato a metà agosto, non prima e quindi c’era tempo per trovare una sistemazione”
Risponda sinceramente: c’era un pizzico di delusione in quei momenti?
“Un po’ sì, soprattutto perché in un’annata deludente per Jesi ero stato uno dei pochi a salvarsi e a giocar bene”.
E all’improvviso venne fuori l’ipotesi Viterbo…
“Più o meno. Il mio procuratore me ne aveva parlato bene: una dirigenza fatta di amici, un ambiente sereno che non mette particolari pressioni addosso…”.
Una cosa è sentirlo, altra è toccare con mano.
“Infatti. Devo dire che la realtà è assolutamente aderente. Anzi, per certi versi, è anche migliore”.
Ancora un po’ di politically correct che non guasta…
“Mi sto divertendo e non mi accadeva da tempo. Vivo in una città tranquilla e a due passi da casa mia, gioco in una squadra giovane che non è la più forte del campionato, ma che è fatta di gente che si sbatte sempre. E questo è una garanzia per far bene”.
A proposito, serve qualche nota personale.
“Sono romano di Ponte Mammolo, 28 anni e da 12 faccio il professionista nel mondo del basket”.
Si è mai posto il problema del dopo?
“Certo, continuamente. Intanto mi sono laureato in economia e al futuro comincio già a pensarci”.
L’obiettivo?
“Mio padre è un chimico e si interessa di energie rinnovabili. Ecco, insieme stiamo pensando ad un’attività in quel settore”.
Quanto ha contato la famiglia nella sua formazione?
“Tantissimo. Quando ero giovane e mi arrivavano proposte per andare nei settori giovanili di società importanti come la Fortitudo Bologna, lui si è sempre opposto e ha fatto bene. Prima lo studio e poi il basket”.
E’ rimasto qualche rimpianto?
“No, assolutamente. E nemmeno rammarico. La vita è fatta di sliding doors, di porte girevoli che si aprono e si chiudono continuamente. Spesso è il caso a decidere quando è il momento di entrare o di restare fuori”.
Cestisticamente che carriera è stata?
“Sono nato nella Tiber Roma e a 16 anni ho esordito in quella che allora era la B2. Poi due anni con la Luiss. Sono stato convocato nelle nazionali giovanili; ho vinto un titolo nazionale under 21. E poi a Osimo, quasi due anni a Pavia e infine Jesi”.
Ma pensa qualche volta a come sarebbe stata la sua vita se avesse accettato quelle proposte?
“Molto spesso. Magari oggi giocherei in serie A, magari avrei guadagnato di più (i soldi non sono tutto nella vita: copyright mio padre, e ha ragione), ma diventare professionista a 16 anni comporta dei costi pesanti sul piano personale”.
E’ soddisfatto di quello che ha fatto?
“Io sono un insoddisfatto naturale… Non sono mai contento del tutto di quello che faccio. Però, facendo un’analisi oggettiva, penso pure che sono arrivato dove meritavo di arrivare. E quelli che hanno la mia età e che hanno cominciato con me, adesso più o meno sono dove sto io. Quindi va bene così”.
Perché le piace tanto la Stella Azzurra?
“Perché è una squadra in cui tutti si danno una mano. Ognuno ha le sue caratteristiche e porta acqua al mulino della squadra. Ripeto: non siamo i più forti, ma siamo quelli che dopo 5 partite hanno 6 punti (e nessuno ci avrebbe scommesso) e che se la sono giocata ad armi pari contro Cassino e Palestrina, cioè due grandi del campionato”.
Viva la gioventù, insomma.
“Dopo Fabio Marcante, io sono il più anziano. Lo ripeto: sono ragazzi certamente con alcuni limiti, ma disposti a battersi e a sbattersi sempre. Questo conta di più anche dei valori tecnici. Ognuno, per motivazioni differenti, ha un obiettivo. Messi insieme e amalgamati, viene fuori il gruppo. E vengono fuori le prestazioni positive e le vittorie”.
Un’altra chioccia, insomma.
“No, un giocatore più esperto che può anche permettersi un’occhiataccia ogni tanto o una giocata un po’ forzata. E’ una squadra in cui ci sono delle gerarchie che vengono rispettate. E questo non è un male, anzi. Le formazioni in cui ognuno va per conto suo, non arrivano da nessuna parte”.
E, secondo Valerio Marsili, dove arriva la Stella Azzurra?
“Posso essere sincero?”.
Semplicemente: deve.
“Io credo che possiamo puntare ai play off. Lo dico dopo aver giocato 5 partite, dopo aver parlato con altri giocatori di questo campionato, dopo aver costatato come e con quale intensità lavoriamo in settimana. Non è un sogno: è un obiettivo che tutti ci dobbiamo porre”.