“Io ho pagato perché la struttura mi ha detto che bisognava pagare, che tutti avevano pagato. Gli ho dato seimila euro”. La signora quasi si vergogna, quando racconta davanti al centinaio di colleghi di sventura (cioè famigliari degli ospiti delle Rsa, abbandonati dalle istituzioni locali e da quelle regionali e costretti a far fronte così a gravi e imprevisti problemi economici). La presidente Maria Laura Calcagnini la rassicura: “Fai comunque la diffida, se ci daranno ragione ti dovranno rendere indietro i soldi”.
La sala è piena, ci sono gli associati dell’Aforsat (Associazione famigliari degli ospiti delle residenze sanitarie assistenziali) ma anche esterni, persone nella stessa situazione. Gente che viene anche da fuori. Ci sono le telecamere di La7, che manderà in onda un servizio stasera all’interno di Piazza Pulita. E c’è anche il paradosso logistico: qui siamo all’interno di una Rsa, che ha concesso gratuitamente i locali per questo incontro. Il responsabile della struttura, Agatino Licandro, prova a spiegare quanto questa storia delle rette e delle aliquote stia mettendo in difficoltà anche loro, vittime diverse di una legge assurda ma sempre vittime: “Noi per esempio abbiamo 55 dipendenti, tante spese. Se non ci arrivano i soldi delle rette siamo in difficoltà. Il messaggio che deve passare non è non pagare, ma cambiare la nuova legge”.
In fondo si parla sempre di soldi. Seimila euro l’anno (circa 530 al mese) che una volta non facevano reddito – cioè non contavano per il calcolo – e oggi invece sì. Così si superano facilmente i 13mila euro l’anno, la soglia al di sopra della quale non si riceve più il contributo. “Il mantenimento dei pazienti è diviso in due fasce, alta e bassa – spiega Aurelio Neri, del sindacato pensionati – Quella alta costa 118 euro al giorno, quella bassa 98. Lo Stato paga il 50 per cento, il resto, senza contributi, è a carico dei pazienti o dei loro famigliari. Ecco come si arriva ai 1870 euro al mese”. Poi c’è il caso di Viterbo: “Qui il Comune dice: hai una casa, anche piccola, anche senza valore immobiliare? Hai dei soldi nel conto corrente, non importa quanti? Non ti diamo la pensione d’accompagno. E’ soltanto un modo per dire non diamo più contributi a nessuno. Anche a persone che hanno lavorato per tutta la vita, che ora stanno male e che così non avranno diritto neanche ad una degna sepoltura”.
Ma sono le storie di queste persone a colpire al cuore. E non è per spettacolarizzare, per giocare coi sentimenti, per fare cronaca del dolore. No, queste sono le voci che vengono fuori: “Io sono la figlia, ho lavorato sempre. Ci hanno guardato nei conti correnti, ci hanno chiesto se avevamo una casa. E sapete cosa hanno detto: vendetela, la casa”, dice una signora. Un signore di mezza età si alza in piedi: “Il mio Isee è sotto i diecimila. Ho mia madre a Villa Immacolata: ci è finita all’improvviso, perché queste cose succedono così, mica ti avvertono prima, purtroppo. Be’, devo pagare 1850 euro al mese di tasca mia. Una tegola, tra capo e collo”. Una donna minuta: “Assisto una signora che non ha nulla. Le sto vicino per ragioni affettive, ma con lei non ho legami famigliari, dunque giuridici. Cosa faccio?”. Un’altra signora: “Scusate, ma io con la Ciambella in Regione non ci vado. La colpa è loro, loro ci hanno cacciato in questa situazione. Ci hanno mandato pure quella lettera in ritardo per darci l’annuncio delle nuove regole. E per chiederci gli arretrati”. E si alzano le voci, s’aggiungono le testimonianze: “Io ho un debito di 9mila euro”, “Io di diecimila”. Indebitati per garantire l’assistenza ai loro cari, ecco com’è la situazione.
Ma è Mario Tofanicchio, presidente del comitato di partecipazione di Villa Serena a Montefiascone (una specie di portavoce dei pazienti, insomma) che strappa gli applausi più sinceri: “Qui c’è una classe dirigente assente dall’inizio alla fine. Dove sono i politici che abbiamo eletto, a Viterbo e in Regione? A parte Sabatini, cosa hanno fatto per risolvere questa storia? Sono latitanti, fanno finta di non sentire”. Calcagnini mostra le lettere inviate a deputati, senatori, consiglieri regionali: lettere morte.