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Marino dà fiato alle trombe (di Vitorchiano)

Il sindaco uscente di Roma: "Le spese di lavanderia sono per il gruppo storico della Tuscia"

Ignazio Marino, sindaco dimissionario di Roma

Ignazio Marino, sindaco dimissionario di Roma

Dalla storia alla finanza creativa. Dall’austero medievo a questo ponentino romano che, si sa, è un venticello come la calunnia. Ci voleva un sindaco (dimissionario) che voleva fa’ l’americano per risciacquare certi panni non nel Tevere, ma in lavanderia. Vitorchiano, borgo incantevole a due passi da Viterbo, tra peperino e lombrichelli, bande di topi d’appartamento e multisale cinematografiche, assiste divertito alla scenetta andata in onda ieri sui colli fatali di Roma. E ascolta, altrettanto curioso, le parole di Ignazio Marino pronunciate di fronte ad un circo mediatico che sembrava averle sentite tutte. Fino a ieri, fino a questo.

“Gli esposti presentati contro di me dal Movimento Cinque Stelle e da Fratelli d’Italia sono vergognosi, scritti da persone in malafede o ignoranti – ha detto Marino in conferenza stampa dopo che, nella serata di lunedì, si era presentato in procura per rendere delle dichiarazioni spontanee – Ad esempio gli scontrini riferiti alla tintoria non riguardano il lavaggio dei miei vestiti ma di quelli storici dei trombettieri di Vitorchiano che quando grandi autorità sono venuti durante i mesi della mia consiliatura in Campidoglio sono stati ricevuti con un tappeto rosso”.

Ora, diavolo di un chirurgo: chi cavolo sono questi “trombettieri di Vitorchiano”? Un ottetto di fiati? La versione tusciarola dell’orchestrina jazz (da New Orleans a Paparano, in fondo, è un attimo adesso che completeranno la Trasversale)? Acqua, acqua. Il sindaco avrebbe voluto dire “i fedeli di Vitorchiano”, e lo si scusi, il doc. chir., in fondo viene da studi scientifici, mica filologici. Già, perché qui bisogna affondare le mani non nei fegati altrui, ma nella storia medievale. Viene in soccorso l’enciclopedia, più o meno telematica.

I fedeli di Vitorchiano sullo sfondo di un incontro ufficiale tra l'allora sindaco di Roma Alemanno e il presidente della Slovenia

I fedeli di Vitorchiano sullo sfondo di un incontro ufficiale tra l’allora sindaco di Roma Alemanno e il presidente della Slovenia

“Nel 1232 i viterbesi si impadronirono di Vitorchiano e lo devastarono. L’Annibaldi fortificò il borgo con nuove mura che lo resero praticamente imprendibile, i vitorchianesi però non sopportarono il suo governo. Dopo aver inutilmente supplicato Roma di liberarli dal giogo, nel 1267 provvidero a proprie spese a rifondere Giovanni Annibaldi per i costi sostenuti. Quando ormai al senato romano apparve evidente che Vitorchiano era perduto a causa della politica poco lungimirante, avvenne un fatto straordinario: i Vitorchianesi fecero atto solenne e formale di sottomissione a Roma. Il Senato Romano a questa notizia nominò Vitorchiano “Terra Fedelissima all’Urbe”, le riconobbe ampie esenzioni fiscali, le consentì di aggiungere al proprio stemma la sigla S.P.Q.R., di fregiarsi della Lupa Capitolina e di usare il motto Sum Vitorclanum castrum membrumque romanum, cioè Vitorchiano, castello e parte di Roma. Il privilegio più importante fu rappresentato dall’onore di fornire gli uomini per la guardia capitolina. Essi furono denominati Fedeli di Vitorchiano”. Niente trombettieri, allora, niente trombe, neanche di Falloppio.

Da allora sono passati quasi ottocento anni, papi, re, podestà e presidenti della Roma. Ma il rito è rimasto lo stesso, e i vitorchianesi oggi come ieri ne vanno fieri. La guardia del Campidoglio è affidata sempre ai fedeli di Vitorchiano, che nelle occasioni solenni – quelle citate da Marino – indossano abiti storici (la tradizione dice che furono disegnati da Michelangelo, evidentemente quando stava attraversando la sua fase fashion). Di questi tempi non basta più lavare i panni sporchi in famiglia: no, bisogna portarli in lavanderia, con tanto di regolare ricevuta. Perché un domani potresti essere chiamato a risponderne.

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