C’è un problema fondamentale in questa nostra Italia del ventunesimo secolo dove, ancora oggi e nonostante tutto, prospera e si ingrassa chi vive di illegalità. Il tema è al centro dell’incontro al PalaExpo con il procuratore Gian Carlo Caselli, un autentico monumento vivente dell’italica giustizia, oltre che presidente del comitato scientifico dell’osservatorio nazionale sulla criminalità in agricoltura e sul sistema agroalimentare. Perché si parla di “nutrire la legalità”, nell’ambito di uno dei tanti progetti approntati dal Comune di Viterbo in concomitanza con l’esposizione universale di Milano. “Che finisce il 31 ottobre – chiosa il sindaco Michelini – ma non finisce tutto quello che c’è stato intorno e del quale l’appuntamento odierno è una tappa importante”. L’iniziativa è di Coldiretti, nell’ambito di un bando dell’Arsial; padrone di casa Mario Brutti, presidente della Fondazione Carivit, che ha trasformato il mattatoio di Valle Faul in un gioiello che è il palcoscenico ideale per convention di tale portata.
Dunque, si parla di legalità in particolare nel settore agroalimentare, fiore all’occhiello del made in Italy in tutto il mondo. Caselli litiga un po’ col microfono (“Succede sempre quando parlo di Andreotti, ma giuro che non lo citerò nemmeno una volta…” e l’aggeggio riprende magicamente a funzionare perfettamente) e poi snocciola con il suo inconfondibile accento piemontese dati allucinanti (e allarmanti). In Italia, ogni anno 330 miliardi spariscono nell’economia illegale: 120 (fonte Confesercenti) per evasione fiscale (terzo paese al mondo: fanno peggio solo Messico e Turchia), 60 (fonte Corte dei Conti) per corruzione (esattamente la metà dell’intera Unione europea), 150 nell’economia mafiosa. Insomma, 330 “cucuzzoni” ogni santo anno. Tanto per dire, se se ne recuperassero anche 200 nel prossimo lustro, dimezzeremmo di colpo il nostro debito pubblico.
“Ma la legalità – scandisce Caselli – non è un problema di guardie e ladri. Se vincono le guardie, siamo tutti contenti; se perdono, vabbè: tanto non è un problema mio. No, non è proprio così. Quando vincono le guardie, ci guadagniamo tutti noi cittadini. La legalità è un problema di regole da rispettare. Senza regole, non c’è partita. Anzi, la partita c’è, ma è truccata e così alla fine vincono sempre gli stessi. Vale la pena ripetere l’espressione solita: le regole sono il potere dei senza-potere. Cioè, i più indifesi, i più poveri”. E quindi rispettare le regole e le leggi non solo è un obbligo, ma soprattutto conviene. Michelini conia un neologismo efficace: “Nutrire la filiera della legalità”. Caselli raccoglie e rilancia: “Quella montagna di denaro che ogni anno ci viene rapinata e viene sottratta alla pubblica utilità rappresenta un impoverimento per tutti. Si potrebbe costruire un campo sportivo o un ospedale o migliorare i trasporti. Più legalità, quindi, significa migliore qualità della vita. E, se volete, anche più felicità”.
Ma, analizzati gli aspetti generali di un sistema che fa acqua da tutte le parti, si passa alle parti più strettamente connesse all’agroalimentare e all’agricoltura. “E qui vi dò una primizia” annuncia l’ex procuratore antimafia. Che ci sta benissimo, visto che si parla di prodotti dei campi. Di che si tratta? “Proprio stamattina nell’aula intitolata a Rosario Livatino del ministero di Grazia e giustizia (io lo chiamo ancora così…), la commissione da me presieduta e incaricata di individuare le linee portanti della riforma dei reati in materia agroalimentare, ha consegnato al ministro Orlando la relazione conclusiva. Sono 250 pagine e un’ipotesi di legge fatta di 49 articoli. Il lavoro tecnico è finito ed ora spetta alla politica fare i passi successivi. E’ un fatto importante perché la mera osservazione delle attuali sanzioni consente di dire che commettere reati in questo settore conviene. Si guadagna molto e si rischia davvero poco. Aggiornare il quadro normativo è un’urgenza”.
D’accordo, procuratore, ma qual è la situazione? “L’agroalimentare è un settore che tira. Lo si definisce ‘freddo’ perché non risente della crisi o ne risente in modo inferiore rispetto ad altri. Come si dice, piatto ricco mi ci ficco. E le organizzazioni mafiose ci si sono già ficcate e continuano a farlo in maniera costante e crescente. Il rapporto sulle agromafie, pubblicato a gennaio 2015, ci dice che il valore numerico di questa ingombrante presenza ammonta a un miliardo e mezzo di euro l’anno. E tende ad aumentare. Inoltre, le organizzazioni criminali sono presenti in ogni segmento della filiera: dal momento in cui si semina fino a quando il cibo arriva in tavola”. Romano Magrini, esperto della Coldiretti su questi argomenti specifici, è ancora più diretto: “I nostri prodotti sono i più imitati nel mondo: formaggi, prosciutto, vino… Perché? Semplicemente perché sono i migliori”. E visto che sono davvero validi sono ogni punto di vista, le mafie si sono buttate nell’affare.
Ma c’è un altro aspetto che Caselli tiene ad evidenziare, citando papa Francesco: “Nel mondo un terzo del cibo prodotto viene sprecato e questa enorme quantità vale quattro volte il bisogno alimentare di chi il cibo non ce l’ha. Non è un problema di quantità, ma di dislocazione e distribuzione delle risorse. Che sono ingenti e mal utilizzate”. E allora la conclusione di Gian Carlo Caselli è molto semplice: “Abbiamo tutti voglia di cibo sano e buono. Ma dobbiamo aggiungere un altro aggettivo: giusto. Sostenere il modello Condiretti, come quello di altre organizzazioni del genere, è utile perché non è aggressivo e rispetta l’ambiente e le tradizioni. Combattiamo tutti insieme la battaglia della legalità nell’agroalimentare e mangeremo meglio senza alimentare le frodi, senza aiutare chi bara e specula, senza sostenere chi vìola le leggi”. Parola di procuratore.