I primi ad aprire, come da tradizione, sono stati quelli delle zone bagnate dall’acqua (tanto mare, quanto lago). D’altronde, si sa, il clima mite gioca sempre un ruolo determinante. Nel giro di pochi giorni, in ogni caso, hanno alzato le saracinesche pure in collina e a ridosso delle montagne. Insomma, la stagione olivicola è in pieno svolgimento. E dalla provincia al gran completo emerge un fattore comune: l’olio del 2015 è buono.
Niente mosca, o comunque pochissima. Zero Xylella (a dire il vero è magicamente sparita pure in Puglia). E quantità di prodotto discreta. Ciò che conta però è la qualità: al momento ottima.
Andando a scavare al di dentro di una pratica così arcaica comunque, e tralasciando per una volta dati e allarmismi vari, interessante risulta capire come materialmente si colgono, queste benedette olive. Quali sistemi vengono utilizzati, a seconda di dove son posizionati gli arbusti.
In molti, basta farsi un giro per campagne, sono ancora per usare le mani. Soprattutto chi non ha chissà che appezzamenti. In questo caso si hanno tre possibilità. Rastrelli e scale è la prima, magari un po’ pericolosa e faticosa. Meglio aiutarsi, quindi. O coi bastoni, o con le canne di bambù (alte, resistenti e leggere). Si picchia con delicatezza da terra, e si aspetta che i teli siano pieni. Ideali, questi ultimi due attrezzi, su terreni scoscesi ed impervi.
Largo ora alla tecnologia, ma sempre manuale. Ecco le cosiddette “paperelle“, o pettinini. Ad un’antenna metallica son fissate due manine, che applaudendo (o facendo come il becco delle papere, appunto) svolgono alla grande il proprio compito.
Leggermente più complesso invece è “Oliviero” (già, si chiama così), che si può tradurre in questo modo: pensate ad un’arancia con tanti stuzzicadenti piantati. Ok? Ora portatela in aria e salutate gli amici muovendo solo il polso, come la regina d’Inghilterra.
Si passa poi ai mezzi pesanti. I pettini di cui sopra hanno varie dimensioni, alcuni si attaccano addirittura al trattore. Larghi un paio di metri, manovrati dalla motrice, sono perfetti per piante grandi su terreni grandi. Stesso discorso vale per gli “scuotitori“. Due braccia stringono l’albero e vibrando lo mettono a nudo. A terra ci stanno sempre i teli, logico. Qualche futurista però si è dotato anche di “ombrello“. Questo manco va spiegato. Basta ruotare quello piccolino che vi ripara dall’acqua, moltiplicarlo per venti, ed il gioco è fatto.
Curiosità fuori-luogo. In alcuna Puglia, e più generalmente dove di olivi ce ne stanno un fracco (magari pure belli grossi), si tendono i teli e si aspetta che il frutto cada da solo. L’olio non sarà buonissimo, logico. Ma la scelta di potare, raccogliere uno ad uno, mettere personale e via dicendo, potrebbe comunque risultare perdente (economicamente parlando).
Curioso infine (anzi, agghiacciante) è quello strano attrezzo utilizzato negli Usa, in Spagna, e in diversi stati freschi d’impianto. Si chiama “scavallatore“. È una macchina fatta ad “U” rovesciata. E cammina lasciandosi tra le gambe le piante. Orribilmente potate quadrate, come fossero una siepe.
Meglio il bambù della Tuscia, senza dubbio. Più poetico, silenzioso, e capace di far comprendere ancora la differenza tra artigianato e industria.