“L’addio di Caprari (e quasi nello stesso periodo l’abbandono ufficiale di Giggetto Malè), chiudono una fase di euforia del pugilato viterbese, anche se le motivazioni per cui, in quegli anni, un giovane decideva di accettare i sacrifici e i pericoli imposti dalla boxe erano tutt’altro che entusiasmanti, quasi sempre di natura economica, il passaggio al professionismo visto come la possibilità di guadagnare qualche lira” (Massimiliano Mascolo, La Tuscia nello sport, Melting pot edizioni, 2009).
E’ scomparso ieri a Civita Castellana, Sergio Caprari, a 83 anni (l’aveva compiuti lo scorso 12 luglio). Il più grande pugile espresso dalla provincia di Viterbo, almeno fino ad oggi, e uno dei due sportivi locali ad aver conquistato una medaglia olimpica. L’altro è Livio Trapè, che di medaglie, a Roma 1960, ne vinse addirittura due, nel ciclismo: un oro a squadre e un argento nella gara in linea, e beffato soltanto nel finale. Anche per Caprari l’avventura olimpica fu dolce e amara.
Helsinki 1952, i Giochi di Zatopek e di Mangiarotti, ma anche, se vogliamo, di un nuotatore azzurro che sarebbe diventato una star del cinema, quel Carlo Pedersoli in arte – e solo tempo dopo – Bud Spencer. Caprari ha appena vent’anni, viene dal secondo posto ai campionati italiani dilettanti, peso piuma, arriva in finale contro il cecoslovacco Zachara: perde ai punti, e molti giurano ancora oggi che quel verdetto fu poco tecnico e molto (geo)politico. D’altronde, il mondo era diviso in blocchi, in sfere d’influenza, la guerra era fredda ma anche – in Corea – caldissima e terribile.
Caprari si rialza, si riaggiusta nel fisico, non conosce più sconfitte e, nel 1956, nel pieno della maturità, diventa campione italiano, proprio nella sua Civita Castellana: l’avversario Barbadoro s’arrende alla sesta ripresa. Il paese non ancora delle ceramiche, la Stalingrado della Tuscia, esulta per un figlio diventato fenomeno. Quel titolo, del resto, Sergio lo difenderà con successo per due volte (a Roma contro Campari e, nel 1958, a Milano contro Pravisani).
L’Italia è alla vigilia del boom, il Viterbese magari ancora no, coi suo problemi infrastrutturali, le scelte sbagliate (tipo il rifiuto di ospitare l’autostrada del Sole), l’agricoltura che non si evolve, il potere romano che dà poco (denaro) e pretende molto (voti). Eppure per un ragazzo come Caprari, per un pugile come Caprari, le occasioni non mancano. Intanto viaggia: è a Melbourne, nella lontana Australia, che deve arrendersi per la prima volta. Sempre nel ’58, a Sanremo, in una località che oltre ai festival musicali ospitava pure grandi riunioni di pugilato, arriva anche la cintura europea, contro un belga, Sneyers, che impiega undici round per capire che è meglio abbandonare. Da campione continentale, il civitonico resiste un anno, poi abdica, ancora a Sanremo: Lamperti è esperto, e furbo come ogni corso che si rispetti.
Ma la boxe è fatta di cadute e risalite, e di ripartenze. A Caracas, nel 1960, davanti ad una folla di immigrati italiani, Caprari cede al campione del mondo, l’americano Moore, dopo otto riprese. Ma non è ancora finita, perché il passaggio di categoria (leggeri junior), consente a Sergio l’ultima chance, ancora mondiale, stavolta dall’altra parte del mondo, nelle Filippine già allora – molto prima di Many Pacquiao – terra di pugili. Fu Gabriel Elorde, detto Flash a mandarlo al tappeto dopo qualche manciata di secondi.
Tornato a Civita Castellana, Caprari si dedicò al commercio (aprì un negozio di elettrodomestici) e alla famiglia. “Oggi è un giorno di lutto per tutti noi – ha detto il sindaco Gianluca Angelelli – Il suo ricordo e le sue medaglie sono un segno indelebile nella storia della nostra città”. E Massimiliano Mascolo, giornalista viterbese di Raisport e grande cantore della boxe locale: “Ho avuto la fortuna di conoscerlo anche se i cazzotti avevano lasciato i segni, a dispetto di un fisico sempre integro malgrado il passare degli anni. E l’immagine che resterà impressa nella mia memoria è quella della sua visita alla mostra Facce da Ring, che organizzai con Mauro Morucci tre anni fa. Sergio venne a vederla col figlio Roberto, e stette a lungo in silenzio, le mani in tasca, davanti al pannello fotografico che ne ricostruiva la carriera. Era un modesto omaggio: il personaggio avrebbe meritato una intera mostra, né potevano bastare a spiegare la sua boxe i filmati che fortunosamente erano stati reperiti. Ma voglio pensare che quell’omaggio abbia poi spinto la sua Civita Castellana a rendergli i dovuti onori, qualche tempo dopo, a 60 anni dall’Olimpiade di Helsinki: e che soprattutto quelle poche foto, quelle poche immagini, si siano fatte largo nella nebbia lasciata dal tempo e dai pugni, e sul volto del Campione sia spuntato un bel sorriso”.
Magari come all’epoca: divisa del gruppo sportivo Ignis, Colosseo sullo sfondo, guanti tesi e pronti a colpire.