Uno stadio mezzo vuoto. La prima, vera partita casalinga della Viterbese (eccetto l’inutile Coppa Italia agostana contro l’Ancona, e il match sospeso per nubifragio contro l’Albalonga) ha detto una cosa: che il pubblico gialloblu è ancora in vacanza. Curva praticamente vuota, a parte un manipolo di coraggiosi, tribuna centrale con ottimi e abbondanti spazi vuoti. Nessuna fila ai botteghini e al bar, un’atmosfera surreale, coi tocchi del pallone che risuonavano nel silenzio degli spalti. Trecento spettatori, a dirla tutta: cifre da Eccellenza.
Ora, non che la Viterbese abbia goduto sempre di masse di tifosi entusiasti, anzi. I numeri sono sempre stati modesti (anche ai tempi in cui si lottava per la serie B), la piazza si sa è quella di una tiepida città di provincia, sonnacchiosa e borghese, troppo borghese. Senza dimenticare la concorrenza sleale della Pay-tv e dunque della serie A: domenica, alla stessa ora di Scardala e compagni, scendevano in campo Pogba (Genoa-Juventus) e Totti (Roma-Sassuolo). E ricordando pure che, calendario astronomico alla mano, il 20 settembre coincideva anche con l’ultima domenica d’estate: un pranzetto al mare, e qualche ora di sole per rinvigorire la tintarella appassita, ci stavano tutte, almeno per i tifosi occasionali, non per lo zoccolo duro che comunque ha sempre timbrato il cartellino, con la pioggia o con il sole.
Ma forse c’è anche qualche altra ragione che ha fatto scendere le presenze dalle duemila dei playoff (vedi sfida col Taranto, persa ai rigori) e le mille circa della passata stagione regolare, alle poche centinaia della sfida contro il Budoni. Intanto, la delusione che è rimasta appiccicata all’ambiente dopo un’estate di illusioni. Già, perché per qualche settimana – specie in agosto – da queste parti si è creduto veramente che la Viterbese potesse salire in Lega Pro, tornare tra i professionisti dopo anni di Dilettanti. La battaglia legale intrapresa dalla famiglia Camilli (e da altri club nella stessa situazione) contro gli atti non regolamentari della stessa Lega, contro la riduzione d’imperio e unilaterale degli organici dei campionati, sembrava ad un passo dall’essere vinta. Sussurri e grida, tutte all’insegna della speranza, rimbalzavano anche dalle stanze del potere calcistico, e dai grandi giornali sportivi nazionali. Allo stesso tempo, giusto per alimentare, gonfiare, le aspettative della gggente, qui la campagna acquisti era stata condotta a caviale e champagne: un allenatore importante, uno staff all’altezza, giocatori nettamente di categoria superiore, lavori di adeguamento dello stadio pronti o quasi.
Poi, il 3 settembre, a due giorni dall’avvio dei campionati, la doccia scozzese, la sentenza che ha scompaginato i piani, che ha spento gli entusiasmi, che ha ammazzato i sogni: la Lega Pro resta a 54 squadre, non c’è posto per altre squadre, non c’è trippa per gatti. Logico che il tifoso, l’appassionato, il papà sportivo che avrebbe voluto portare il figlioletto “a vedere la serie C”, sia rimasto deluso. Se non nauseato dall’ennesimo teatrino offerto dall’italico mondo del pallone. Pietoso. Ritrovarsi in due giorni da una Lega Pro virtuale ad una serie D maledettamente reale sarebbe stata una botta dura per chiunque, figuriamoci per un tifoso, che spesso (e non a torto) ragiona con la pancia più che con la testa. Di qui appare persino logico disertare lo stadio – speriamo solo a tempo determinato – per far sbollire la rabbia, e magari dedicarsi a qualche altra attività, meno frustrante e più appagante.
Ci sarebbero anche altri fattori, forse, dietro la scarsa affluenza di domenica. Quello tecnico, con l’avvio singhiozzante della squadra di Sanderra (una vittoria e una sconfitta): si sa che “a Viterbo la gente va allo stadio solo quando si vince”. Senza dimenticare anche la polemica che una frangia della tifoseria ha imbastito già da qualche mese sulla denominazione sociale del club: c’è infatti chi contesta il perdurare del nome Adc Viterbese Castrense, quando quest’ultimo riferimento al passato a Grotte di Castro sembrava – almeno dalle parole dei vertici di via della Palazzina – destinato a scomparire. Invece sono passati oltre due anni dall’arrivo dei Camilli in città, e il nome è sempre quello. Un altro elemento divisivo, o potenzialmente nocivo nei confronti della tifoseria. Come se ce ne fosse bisogno, in una stagione che deve – imperativo – essere per forza quella della vittoria. Altri scenari sarebbero difficilmente (eufemismo) tollerati.