Pronto? Cercavo Gloria.
“Allora si cimenti nelle arti, o magari provi a vincere una medaglia alle Olimpiadi”.
No, cos’ha capito? Gloria: la nuova Macchina di Santa Rosa.
“Avevo capito benissimo. La mia voleva essere solo una battuta”.
Allora è lei?
“Certo che sono io. In fibra e cartapesta”.
E’ pronta per stasera?
“Che razza di domande. Certo che sono pronta. Ore 21, San Sisto. Si spengono le luci e s’accende la magìa”.
Sarà la sua prima volta.
“Sono emozionatissima, come una bambinetta. Se è per questo è dal 19 agosto, da quando sono arrivata qua, che trepido. Avete visto quanta gente è arrivata per le prove d’illuminazione? Già m’immagino il delirio di stasera…”
Le hanno fatto un sacco di complimenti. Il presidente del Sodalizio ha detto che lei è meravigliosa.
“Sono arrossita. In realtà i complimenti li debbono fare a Raffaele Ascenzi e Vincenzo Fiorillo, i miei due papà. Raffaele mi ha pensato, anzi mi ha sognato, perché credo che prima di mettersi al computer per progettarmi abbia avuto una specie di visione, ha visto l’idea. Il disegno è venuto dopo, automaticamente”.
E Fiorillo?
“Vincenzo ci ha messo il sudore, le mani. Ha sentito cosa hanno detto? Che dietro il mio candore c’è il grasso, lo sporco, il lavoro. E’ verissimo”.
La sua realizzazione è stata pubblica. Chiunque poteva venire in cantiere, giù sulla Tuscanese, a seguire la costruzione.
“Una splendida idea. Sa che ho visto pure tanti bambini e ragazzi? Giravano, chiedevano, scattavano foto. Credo sia stato un momento anche per approfondire l’aspetto artigianale della manifestazione, per far capire cosa ci sia dietro il Trasporto. Molte mie antenate, che io chiamo affettuosamente ziette, sono state fabbricate altrove. Zia Fiorella, per esempio, l’hanno fatta lassù nel nord est, tra zanzare grosse come droni e aliti alla grappa”.
Zia Fiorella?
“Sì, Fiore del cielo. Io la chiamo Fiorella. Ora è a Milano, ma presto potrebbe andare in Cina, lo sa?”
La Cina sembra il posto giusto, per quella Macchina…
“Alt. Non parli male di noi. Siamo tutte belle, tutte diverse, perciò uniche. Poi, si sa, de gustibus”.
Lei trasporta anche un’urna con i messaggi dei viterbesi alla santa.
“Ne sono fiera. E’ la concretizzazione di quello che è sempre stato il mio ruolo, da secoli: la Macchina è un unico, grande messaggio di fede della città alla sua patrona. E via via, nell’epoca del relativismo, sono diventata anche un messaggio della tradizione, dell’orgoglio, della viterbesità. Un messaggio che grazie al riconoscimento Unesco sta diventando planetario”.
Torniamo a stasera.
“Sono pronta, le ho detto, e sono anche tranquilla. Andrà tutto bene. Ieri mi hanno pesata, sa?”
Quanto ha fatto segnare?
“Quintali 49.56, grazie. In linea col mio peso forma”.
E’ sempre più leggera di Giuliano Ferrara.
“Hanno detto pure che ho il baricentro perfetto. Lo prendo come un complimento”.
Momenti delicati?
“Al Corso, quattro o cinque punti che sono un po’ più stretti e che potrebbero dare noie ai miei angioletti, che sporgono un po’. Ma le guide e il capofacchino Sandro Rossi, che per me è uno zio buono, sanno cosa fare. Mi fido a occhi chiusi”.
Si riposerà un po’ davanti alla ex chiesa di Sant’Egidio.
“Sosta tecnica, si chiama. Tutti i facchini resteranno sotto, poi via verso piazza del Teatro, per la girata”.
Infine la salita.
“Ce la facciamo tutta d’un fiato, perché non vedo l’ora di tornare a casa”.
Evviva Santa Rosa.
“Evviva, evviva, evviva”.