Di figuraccia in figuraccia si corre il rischio di classificare certi avvenimenti nella categoria dell’ineluttabile, del fisiologico, se non addirittura del necessario. E invece non bisogna mai finire di scandalizzarsi e di indignarsi per certi passaggi a vuoto che rendono fragili le Istituzioni e deboli coloro (tutti indistintamente) che, pro tempore, le abitano. Il mancato Consiglio comunale di giovedì scorso impone qualche ulteriore considerazione sulla capacità dell’attuale maggioranza di portare avanti un discorso univoco e unitario. Perché i livelli di responsabilità sono diversi, è evidente.
Breve riassunto delle puntate precedenti, necessario a comprendere la genesi degli avvenimenti più recenti. Alla fine di luglio, proprio in estremis, si arrivò all’approvazione delle tariffe e delle tasse, rivedute e corrette in chiave di maggiorazione. Bene, anzi male, ma così andarono le cose per tenere in piedi il bilancio comunale. L’impegno, pubblico, fu di aggiornarsi al 20 agosto per approvare la manovra nella sua intierezza. A quell’epoca, di fronte ad una data abbastanza atipica considerate le abitudini degli italiani, viterbesi compresi, una voce immediatamente circolò tra addetti ai lavori e non solo: quel Consiglio comunale di giovedì 20 non si farà… Voce subito catalogata nelle categoria delle maldicenze, con relativa classificazione d’autorità fra i gufi dei protagonisti di “notizie false e tendenziose”. Come è andata a finire? Hanno avuto facilmente ragione i gufacci. La maggioranza, pur essendo presenti diversi esponenti nelle sale di Palazzo dei Priori, non ha risposto all’appello e la seduta appena cominciata è già finita.
Un film già vecchio nella tormentata consigliatura targata Michelini: tre presidenti del Consiglio, una decina di rimpasti e sostituzioni di assessori, annunci ufficiali immediatamente traditi, furibonde riunioni di maggioranza, litigi, ripicche, ricatti più o meno palesi… Un calderone esplosivo che rischia, ad ogni curva nemmeno tanto pericolosa, di finire fuori dalla carreggiata. Qui non è in discussione il buon governo, quanto si è fatto e quanto si è promesso, quanto si poteva fare e non si è messo in pratica: no, qui è semplicemente in discussione la credibilità di una maggioranza che si era dato l’0biettivo nemmeno particolarmente ambizioso di cancellare gli anni tempestosi del sindaco Marini, sovente messo in croce dai suoi, ugualmente rissosi e analogamente voraci. Non si discute della bontà delle scelte e della qualità degli interventi: si parla di persone che raramente riescono a tener fede ad impegni da essi stessi presi e pubblicamente declamati.
Niente da fare: non se ne viene fuori. Adesso che incombe la mannaia seria e concreta del commissario, forse (più di) qualcuno capirà che non si scherza con le Istituzioni. Che il Consiglio comunale è faccenda seria e non camera di compensazione di vendette personali e politiche. Discutere ed eventualmente approvare il bilancio è un dovere: se non si è in grado e/o non si vuole farlo, basta prenderne atto e andare a casa.
Detto della maggioranza, due parole vanno spese anche sulle opposizioni che fanno il loro mestiere, sia chiaro. Inutile presentare migliaia di emendamenti destinati ad essere impietosamente cassati senza nemmeno essere discussi: ne bastano pochi, 10-15 al massimo, credibili e concreti. Roba che costringa tutti a riflettere e a non dire un no o un sì di maniera. Anche in questo caso, ne va della credibilità complessività dell’Istituzione stessa. E’ un problema di serietà e di rispetto verso i cittadini. Ma, purtroppo, in Italia la situazione è sempre drammatica, ma non è mai seria. Flaiano dixit.
Buona domenica.