Non c’è niente da fare, per un motivo o per l’altro il destino della Viterbese in Lega Pro è sempre legato alle decisioni che prenderà un tribunale.
Dopo l’esclusione dei gialloblu dai ripescaggi da parte del Consiglio federale riunitosi martedì, che ha ammesso solo Pordenone e Albinoleffe in serie C e che ha fatto intendere, seppur con la consueta ambiguità, di voler ridurre il numero di squadre a 54 – il presidente Tavecchio ha parlato di “tosatura”, e non si riferiva all’erba dei campi da gioco – senza però aver prima messo mano a una riforma vera e propria, alla famiglia Camilli non resta ora che tentare la strada del ricorso in tribunale per riportare la Viterbese tra i professionisti entro la fine di agosto. Perché se è vero che la domanda di ripescaggio del club della Palazzina è stata consegnata senza l’assurdo obolo di 500 mila euro a fondo perduto (forse alla luce dei fatti questa scelta non si sia rivelata proprio felicissima anche se legittimissima), è altrettanto vero che adesso la società gialloblu è pronta a versarli, al pari del Taranto e del Monopoli.
Il problema è capire se ci sarà spazio per più di una sola squadra, e al momento la federazione ha detto di no. Per chiudere a 54 manca solo da sostituire il Castiglione (no, non il parlamentare del Nuovo Centrodestra), che ha vinto il girone B della serie D ma non si è iscritto alla Lega Pro: questa novità è uscita fuori solo il 4 agosto e, trattandosi di una sostituzione, per chi ne prenderà il posto non è neanche previsto il contributo a fondo perduto di mezzo milione di euro. La Federazione ha quindi pensato di rifarsi alla graduatoria ripescaggi stilata dopo i play off di serie D: primo è il Sestri Levante, che ha già annunciato che rinuncerà visto che non ha avuto il tempo di prepararsi ad un eventuale campionato professionistico e che non ha un impianto adeguato. Seguono Monopoli, ad oggi la più accreditata per sostituire il Castiglione, poi Fano, Taranto e, in quinta posizione, Viterbese. Resta quindi difficile pensare che con un format a 54 squadre ci sia spazio per i gialloblu, che in ogni caso avrebbero davanti troppe società interessate alla serie C per sperare di diventare la cinquantaquattresima.
Più possibilità ci sarebbero qualora Tavecchio e i suoi – hanno giubilato Macalli ma il modo di gestire il calcio di casa nostra non è mutato di una virgola rispetto a quando alla guida della serie C c’era il ragioniere – cambiassero rotta e scoprissero di avere tanto “a cuore” i soldi che il club gialloblù e altre società sono in grado di versare, ma nonostante la nota magnanimità della Figc al momento lo scenario non sembra essere questo. Da qui l’idea della famiglia Camilli, ma anche del Taranto e di altre squadre rimaste a bocca asciutta, di presentare il ricorso contro la diminuzione delle squadre in Lega Pro da 60 a 54. Gli avvocati del Comandante sono già al lavoro, la moneta sonante è pronta e non c’è dubbio che sarà battaglia #finoallafine per riportare la Viterbese in serie C dopo tanti anni.
Potrebbe non servire più a niente ormai, d’accordo. Ma vista la famosa ambiguità della Federazione e considerato che siamo sempre in Italia e che nel mondo del pallone (e non solo) nostrano quello che è certo il giorno prima il giorno dopo magari non lo è più, vale la pena provarci. La lunga estate gialloblù, signori, è ancora bel lungi dall’essere conclusa.