Ci risiamo col giochino scemo, voto 2.5. Quello del “chi ha vinto e chi ha perso”, il concorso, senza premi, a chi ce l’ha più lungo. Stavolta i nostri eroi (voto 4) si cimentavano sul bilancio, o almeno sulla prima parte di esso, discusso in una leggerissima due giorni (trenta ore totali) in consiglio comunale.
Intanto, una premessa: chiamare “adeguamento delle tariffe” quello che è soltanto il caro, vecchio, aumento delle tasse è un gioco di parole, un sottilissimo eufemismo, che manderebbe in brodo di giuggiole linguisti e semiologi di chiara fama. Voto 2, parlate come magnate.
Poi, il resto. La minoranza che sbraita in un bar di mezza periferia dicendo che Michelini e i suoi hanno perso, sono finiti e se ne debbono andare a casa (ma la casa dov’è?, domanderebbe Jovanotti, voto 3). E questi altri, la maggioranza, che invece si dicono bravi da soli per aver compiuto la missione – o forse per essersi salvati il sedere anche stavolta – e per aver evitato il dissesto finanziario del Comune. In mezzo, siparietti simpatici: migliaia di emendamenti prodotti per intralciare il traffico in aula (si chiama filibustering, e al Parlamento inglese, voto 8, lo facevano già quando noi eravamo ancora alle prese coi papi e le guardie svizzere, voto 4), la nascita di un nuovo, serissimo gruppo consigliare (il Gal di Insogna & Moltoni, voto 8 naturalmente diviso due) e cose così.
Questo, insomma, il livello del dibattito locale. Bastava però leggere i giornali nazionali per capire che l’aumento delle tasse non è soltanto una specialità viterbese, come il panonto (voto 5) o il 103 (voto 10). No, tutti i Comuni italiani – specie quelli medi e grandi – sono costretti ad alzare le aliquote del 22 per cento totale, e non da oggi, ma da tre anni (cioè da quando qui governa il centrosinistra, ma guarda un po’ la sfiga).
Lo stesso Piero Fassino, sindaco di Torino, presidente dell’Anci e quindi capo di tutti i sindaci italiani, lo ha spiegato benissimo dalle colonne del Corriere della Sera: “Ai Comuni è stato chiesto il contributo più alto al risanamento – ha detto l’ex segretario dei Ds – Dal 2007 al 2015 abbiamo contribuito con 18 miliardi, una metà come riduzione secca dei trasferimenti dallo Stato centrale, l’altra come tributo al patto di Stabilità, che ormai non è più sostenibile e che blocca anche gli investimenti degli enti locali”. C’è pure un’analisi della Corte dei conti che conferma cifre e tutto il resto. Fassino dice pure un’altra cosa che avremmo voluto sentire, magari anche da Michelini, magari in apertura dei lavori del consiglio comunale: “Mica ci divertiamo ad aumentare le tasse – ha detto Fassino – Facciamo ricorso al prelievo fiscale nei confronti dei nostri cittadini solo quando ogni possibile manovra non è sufficiente a compensare i tagli imposti dal Governo”. Punto, e voto 7 all’onestà del personaggio.
Era così difficile spiegarlo anche ai viterbesi? E magari farlo capire pure all’opposizione? Dovrebbero essere gli amministratori a dialogare coi cittadini, fino a prova contraria: nei momenti felici e ancora di più in quelli difficili. Con un po’ di buonsenso e altrettanto coraggio, visto che il tema (“C’aumentano le tasse, signora mia”) è delicato, e si presta pure a strumentalizzazioni più o meno pelose. Così è successo. Dal dialogo alla caciara, del resto, è un attimo. Aggiungere un po’ di grottesco, qualche urlo belluino, mescolate e servite in tavola a temperatura ambiente. E buon appetito, se vi piace mangiare ‘sta roba. Voto 1.