Centosessanta anni di storia (mese più, mese meno) cancellati di un colpo. Non nella sostanza, ma certamente nell’immagine. La Cassa di risparmio di Viterbo, fondata da un gruppo di cittadini nel lontanissimo 1855, come strumento di credito al servizio del territorio e senza fini di lucro (gli eventuali utili dovevano essere devoluti in beneficenza), come ormai noto entro fine anno ammaina bandiera per diventare a tutti gli effetti Intesa Sanpaolo, uno dei colossi bancari europei.
“E’ un percorso già fissato da tempo – commenta Mario Brutti, presidente della Fondazione Carivit -. In pratica, l’atto che dava il via libera definitivo al processo di fusione avvenne nel novembre dello scorso anno quando la Fondazione cedette l’ultimo 11% delle quote azionarie di Carivit in suo possesso all’istituto che già peraltro possedeva la stragrande maggioranza delle azioni. Fu quello il momento che segnò il definitivo tramonto della Cassa di risparmio della provincia di Viterbo che, non va dimenticato, già da tempo era totalmente integrata nei sistemi gestionali ed operativi di Intesa Sanpaolo. Insomma, voglio dire che dal punto di vista interno non cambierà nulla, anzi mi auguro che i processi decisionali possano essere più celeri e meno complessi rispetto all’attuale situazione”. “Certo – aggiunge il dottor Brutti – fa un certo effetto immaginare che tra poche settimane spariranno quelle insegne a cui eravamo abituati praticamente da sempre…”.
Qualche rimembranza storica, a questo punto, sembra opportuna. Secondo Wikipedia “l’iniziativa di istituire la Cassa di Risparmio di Viterbo fu presa nel 1854 dal Consiglio provinciale allora presieduto da Pietro Lasagni, un ecclesiastico che era diventato delegato apostolico di Pio IX. Lo statuto fu approvato con rescritto pontificio (cioè una risposta ad un quesito) del 18 aprile 1855; le operazioni cominciarono il successivo 1º luglio. I 102 soci fondatori acquistarono 150 azioni da dieci scudi romani (che fu la valuta dello Stato pontificio fino al 1866) ciascuna. Primo presidente della Cassa, fino al 1861, fu il conte Cesare Pocci“. Aggiunge l’enciclopedia informatica che “nel 1927, l’Istituto assorbì le Casse di Acquapendente, Bagnoregio e Carbognano, mentre con regio decreto 25 febbraio 1937 n. 318 incorporò le Casse di Risparmio Riunite di Ronciglione, Sutri, Capranica e Caprarola, modificando la propria ragione sociale in Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo”.
Una storia lunga e intensa e che, pur tra alterne fortune, ha segnato il cammino e la crescita prima della città di Viterbo e poi dell’intera provincia. Il vessillo Carivit comunque non sparirà poiché la Fondazione che porta quel nome continuerà ad esistere e ad operare. “La nostra autonomia dalla banca – sottolinea ilo presidente – è acclarata e fuori discussione. Il nostro lavoro al servizio dei cittadino non sarà minimamente influenzato da queste vicende. Cerchiamo per quanto è possibile di sostenere tutte le iniziative che danno lustro a Viterbo e alla Tuscia tutta”. La Fondazione Carivit nacque nel 1992 a seguito dei provvedimenti assunti dall’allora governo Amato che impose la trasformazione delle Casse di risparmio in società per azioni. “La Fondazione – ricorda Brutti – divenne all’epoca il proprietario dell’istituto di credito avendo il possesso del 90% del capitale, mentre il resto era detenuto dai piccoli azionisti. Nel corso degli anni seguenti, le quote furono progressivamente cedute, fino all’ultimo passaggio del novembre 2014 nel quale, come già accennato, passò a Intesa Sanpaolo l’ultimo pacchetto di azioni Carivit. E’ evidente che la Fondazione ha ricevuto, con quel passaggio, un beneficio economico e sono proprio questi i soldi che cerchiamo di far fruttare per portare avanti le nostre attività. Vorremmo poter fare ancora di più, ma i mezzi non sono infiniti. A proposito dell’autonomia delle Fondazioni, va anche ricordato che è stata la Banca d’Italia a sollecitare e a spingere affinché si allentassero sempre di più i legami con gli istituti di credito”.
E il nome, presidente Brutti? “E’ evidente che su questo dovrà esprimersi il consiglio direttivo. La mia personale opinione è che sarebbe tutt’altro che disdicevole conservare l’attuale denominazione che manterrebbe in vita una storia e una tradizione, legatissime a Viterbo da oltre un secolo e mezzo. Comunque, al di là degli aspetti formali qual è appunto il nome, resta la sostanza di quello che cerca di fare la Fondazione Carivit. Un lavoro che spero sia apprezzato da tutti i cittadini: un lavoro che continueremo a svolgere con il medesimo impegno e con identica passione”.