Ad un certo punto sul palco c’erano tre seminaristi. Una tipa giapponese e due maschietti provenienti rispettivamente dalla Corea del sud e dall’Australia. Ecco, questo potrebbe bastare a riassumere l’edizione 2015 del Tuscia in jazz spring. Il contenitore musicale più raffinato della provincia, che si sposta di paese in paese durante l’anno, e che culmina in estate a Bagnoregio.
Dieci giorni di festival, freschi freschi di chiusura. Un successo tutt’altro che inaspettato. Ed è già tempo di bilanci. Poiché, come è giusto che sia, quando si fondono energie pubbliche e private, è sempre bene rendicontare.
Partendo dal lato artistico. “Non che le altre siano state male – apre il direttore, Italo Leali – ma penso che questa sia stata la più alta, in quanto a qualità. E le presenze me lo confermano. Coi big abbiamo sempre riempito piazza Biondini. E pure col premio, che vede in gara giovani sconosciuti, quelle duecento persone non son mai mancate. Ottimo”.
Secondo aspetto, i corsisti. Ossia, i ragazzi che vengono nella Tuscia per studiare. “Il numero è costante – prosegue – siamo poco sopra i cento. Stavolta però mi hanno impressionato le distanze. Partire dal Giappone, per venire da noi, è un attestato di stima senza tempo”.
Tre. Il rientro economico e pubblicitario. “Qui non dovrei essere io a fornire dati – sempre lui – magari fatevi un giro di telefonate. Una cosa però posso dirla, ho avuto difficoltà a far dormire le mie band. Spesso mettevo due in un posto e due in un altro. Nel raggio di 20 km non ci stava una sola struttura libera. Tra l’altro molti del paese si sono attrezzati, ed affittano le loro case. Naturalmente le strutture ricettive erano gonfie anche di pubblico, non solo di gente nostra”.
A proposito di introiti eccezionali, poi, la notte bianca a Civita? “Ma quale città che muore? – ci scherza sopra Leali – mille paganti abbondanti, duecento tra staff, ragazzi, insegnanti. Cento ospiti. Sei concerti. Una installazione poetica di Alessandro Vettori da paura. E la raccolta di firme per sostenere la candidatura del borgo al patrocinio dell’Unesco.
Un sacco di testate giornalistiche dell’intero Stivale. Che altro aggiungere? Una sola perplessità, come mai di giornalisti viterbesi ce n’era uno solo? Questa cosa non la capirò mai…”.
La chicchetta di chiusura. “L’ultima serata – si congeda così, Italo Leali – han suonato tra jazz e bossanova Paula e Jaques Morelembaum trio. Credo che siamo riusciti a radunare i brasiliani dell’intera provincia. Una festa incredibile, sensazioni stupende. Dopo tanta fatica, questi piccoli dettagli ti mettono voglia di andare avanti”.