“E’ un calcio maaaalato“, dicevano quei matti della Gialappa’s (voto 9) una quindicina d’anni fa. Da allora il pallone italiano mica è guarito, anzi è peggiorato, avvolto in una crisi che sembra irreversibile. Puzza dalla testa ai piedi, questo mondo qui, e allegria.
Dalla testa, e basta vedere la zozzeria più recente, vale a dire la trasferta in quel di Shanghai per disputare la finale di Supercoppa italiana, che pure sarebbe un trofeo importante, mica un’amichevolazza estiva da nulla. Ma giocarla laggiù – in culo alla luna, voto 3 -, in uno stadio di plastica, col tifone che minaccia l’incolumità di pubblico e calciatori (il famoso tifone Lotito-san, voto 4), su un campo gibboso, come si diceva una volta, con una regìa televisiva alla Von Trier (voto 5), be’, era davvero necessario? Dice: sì, per una questione di soldi. E invece non va bene: forse la Juventus e la Lazio e la Lega calcio serie A si saranno spartiti un bel po’ di remimbi, quattrini freschi freschi, ma ne valeva davvero la pena? Non è che i danni a livello d’immagine – basti pensare alle migliaia di critiche per la diretta Tv arrivate via social network – siano stati superiori ai vantaggi? Fateci sapere, con calma: nel frattempo, beccatevi ‘sto voto 2.
E non è che qui, ai piedi di questo corpaccione mollo e corrotto (non nel senso penale del termine, ma corrotto moralmente, eticamente, razionalmente) le cose vadano meglio. Anzi. E veniamo a noi, poveri clienti del calcio di provincia.
Quello che sta succedendo a cavallo di Lega Pro e serie D – il proletariato del calcio – è pure peggiore di quel che accade ai piani che altrove verrebbero definiti “nobili”. Come ogni anni, in Lega Pro sono saltate una cifra di squadre, una morìa di pesci che neanche nelle bollenti acque di questi giorni a Bolsena. Bene, cioè male. Alle squadre (sportivamente) morte dovrebbero succedere le famose ripescate (a proposito di pesci…). Invece no. Invece la Lega Pro decide – senza consultare nessuno, senza mettere ai voti nulla – di non ripescare nessuno. Nonostante diverse squadre, tra cui la Viterbese (ma non è questo il punto) fossero disposte a pagare l’assurda, esosa, tirannica tassa “a fondo perduto” (voto 1) di 500mila euro. Niente: per voi le porte sono chiuse, per il Taranto – città da 250mila abitanti, passato calcistico importante – pure. Attaccatevi e restate in serie D.
Come chiamarlo, questo, se non un piccolo colpo di Stato, una riformetta carbonara (altro che l’Italicum, voto 6.5), uno stupro al regolamento e agli accordi (quelli sì votati e approvati) che prevedevano una riduzione delle squadre soltanto dalla stagione successiva? Che Taranto e Viterbese, oggi, vogliano far ricorso in tutti i luoghi e in tutti laghi (aridaje) è la conseguenza naturale. Che i gironi e i calendari di Lega Pro e serie D siano ancora fermi in un mega ingorgo (voto 5.5) non a Roncobilaccio ma nei cassetti del Palazzo, è un’altra conseguenza, meno naturale ma ancora più scandalosa.
Intanto, a leggere la Divina Rosea, quella bibbia che si chiama Gazzetta dello sport (voto 9, grazie di esistere) una delle società coinvolte nell’ultimo scandalo calcioscommesse, il Catania, quella con l’ex presidente reo confesso (“Ho comprato le partite per salvare la squadra dalla retrocessione”, Pulvirenti dixit, voto 7 all’onestà), avrebbe trovato un accordo per scongiurare lo sprofondamento. Pare che i papaveri della giustizia sportiva siano disposti a farla ripartire dalla Lega Pro, anche se con la penalizzazione. A questo punto in soprannumero, se il format doveva essere a 54 squadre.
Chi glielo spiega a Taranto e Viterbese, a tarantini e viterbesi? Chi glielo spiega alle persone oneste che vorrebbero andare tra i professionisti non solo per ragioni sportive ma anche magari per provare a cambiare un po’ questo calcio maaalato? In attesa di risposte, il voto è sottozero, con tanta tristezza intorno.