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Dalla Siria con dolore: “Qui come a casa”

Abdul Karim, profugo ospite in città per il progetto Syriaza

Ragazzi siriani lavorano su un ritratto di padre Dall'Oglio

Ragazzi siriani lavorano su un ritratto di padre Dall’Oglio

Abdul Karim è un quarantino, per dirla col siciliano di Camilleri. E’ siriano di Damasco, ma Damasco non la vede più da anni. “Sono stato costretto a scappare, prima della rivoluzione, sin dal 2004. In Grecia, e ora in Germania, a Francoforte, dove continuo a lavorare per i diritti umani e per la liberazione del mio Paese. Dall’estero”. Lui, come tanti altri oppositori al regime di Bashar Al Assad. E’ qui con la sua famiglia, grazie al progetto Syriaza: parla un inglese chiaro, scandito, e alla fine saluta il cronista con un abbraccio e con un “my friend”. Il saluto è, ovviamente, reciproco.

syriaza (22)“Syriaza è un progetto importante, perché il popolo siriano ha estremo bisogno di far conoscere la sua lotta in Europa, ed ha bisogno assoluto che l’Europa lo sostenga – dice Abdul Karim – Senza il vostro aiuto non ce la possiamo fare”. Già: la guerra intestina che devasta questo Paese da anni, e della quale non s’intravede la fine. Ma non è soltanto questo che Abdul Karim intende sottolineare.

Il sindaco Michelini parla con Pietro Dall'Oglio, fratello di padre Paolo

Il sindaco Michelini parla con Pietro Dall’Oglio, fratello di padre Paolo

Perché secondo lui – e secondo molti di questi rifugiati siriani e di alcuni analisti indipendenti – il messaggio che arriva qui da noi, è distorto, condizionato, fuorviante: “L’Isis (loro lo chiamano semplicemente Is, o Daesh, ndr) non è il problema principale. E’ una minaccia alimentata e sostenuta dallo stesso Assad e dai suoi alleati, affinché l’Occidente si convinca a debellarlo, e quindi a dargli una robusta mano. Questo va spiegato bene, perché a voi arrivano informazioni molto diverse…”.

syriaza (19)Vero. E l’angolo della politica internazionale finisce qui. Quello che è emoziona arriva all’ultima domanda, in zona cesarini Abdul risponde così alla domanda di prammatica “come vi trovate a Viterbo”. Ci pensa un po’ su, guarda i famigliari, e dice: “Qui mi sento come a casa mia, nella mia Damasco. Le strade, i palazzi, la storia che si respira. E i viterbesi, poi: l’unica parola che mi viene in mente è friendship“. Amicizia, my friend. E quella leggenda metropolitana che racconta di un paio di siriani, in lacrime l’altra sera, sperduti tra i vicoli dietro al cinema Genio, perché rivedevano gli scorci della loro città, sembra un po’ più vera. Viterbesi e siriani, fratelli col cuore.

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