Abdul Karim è un quarantino, per dirla col siciliano di Camilleri. E’ siriano di Damasco, ma Damasco non la vede più da anni. “Sono stato costretto a scappare, prima della rivoluzione, sin dal 2004. In Grecia, e ora in Germania, a Francoforte, dove continuo a lavorare per i diritti umani e per la liberazione del mio Paese. Dall’estero”. Lui, come tanti altri oppositori al regime di Bashar Al Assad. E’ qui con la sua famiglia, grazie al progetto Syriaza: parla un inglese chiaro, scandito, e alla fine saluta il cronista con un abbraccio e con un “my friend”. Il saluto è, ovviamente, reciproco.
“Syriaza è un progetto importante, perché il popolo siriano ha estremo bisogno di far conoscere la sua lotta in Europa, ed ha bisogno assoluto che l’Europa lo sostenga – dice Abdul Karim – Senza il vostro aiuto non ce la possiamo fare”. Già: la guerra intestina che devasta questo Paese da anni, e della quale non s’intravede la fine. Ma non è soltanto questo che Abdul Karim intende sottolineare.
Perché secondo lui – e secondo molti di questi rifugiati siriani e di alcuni analisti indipendenti – il messaggio che arriva qui da noi, è distorto, condizionato, fuorviante: “L’Isis (loro lo chiamano semplicemente Is, o Daesh, ndr) non è il problema principale. E’ una minaccia alimentata e sostenuta dallo stesso Assad e dai suoi alleati, affinché l’Occidente si convinca a debellarlo, e quindi a dargli una robusta mano. Questo va spiegato bene, perché a voi arrivano informazioni molto diverse…”.
Vero. E l’angolo della politica internazionale finisce qui. Quello che è emoziona arriva all’ultima domanda, in zona cesarini Abdul risponde così alla domanda di prammatica “come vi trovate a Viterbo”. Ci pensa un po’ su, guarda i famigliari, e dice: “Qui mi sento come a casa mia, nella mia Damasco. Le strade, i palazzi, la storia che si respira. E i viterbesi, poi: l’unica parola che mi viene in mente è friendship“. Amicizia, my friend. E quella leggenda metropolitana che racconta di un paio di siriani, in lacrime l’altra sera, sperduti tra i vicoli dietro al cinema Genio, perché rivedevano gli scorci della loro città, sembra un po’ più vera. Viterbesi e siriani, fratelli col cuore.