Dopo la solenne bocciatura della candidatura a capitale italiana della cultura, Viterbo non si arrende. Fedele alla sua celebre fama di comunità coraggiosa, dinamica e soprattutto unita, la città dei papi è già al lavoro per concorrere a nuovi, entusiasmanti, titoli. Nonostante alcuni apprezzati colleghi – su tutti l’ottimo Giuseppe Ferlicca – si siano cimentati nel proporne alcuni, Viterbopost stava già lavorando da giorni sulla questione. E oggi è in grado di anticipare in esclusiva quali saranno le prossime candidature. Eccole.
Capitale italiana delle rotonde. Nel senso di rotonde stradali, quei simpatici rondò che ormai costellano ogni via cittadina. Uno studio del Mit di Boston ha evidenziato come nel capoluogo della Tuscia ci sia una rotonda ogni 12 metri di strada, la concentrazione più alta del pianeta. Non si fa in tempo a trovare la via d’uscita di una e subito s’imbocca la seconda, in un simpatico giramento di ruote e non solo di ruote. Perché dunque non sfruttare questa incredibile risorsa come volano per il turismo e l’economia? Allo studio la possibilità di adibire il prato centrale delle rotonde ad orti urbani (lo smog aiuterebbe le coltivazioni di broccoletti e rape, altro che Ogm) o di far disputare la prossima finale di Champions league al centro della rotonda di valle Faul, tra l’altro senza neanche interrompere il traffico.
Capitale italiana dell’arsenico. Le terme non decollano? L’ultimo bagnante risale al III secolo dopo Cristo? Nessun problema, basta rovesciare la questione e piantarla con queste maledette acque sulfuree, che tra l’altro sono troppo calde e puzzano di uova marce. Puntiamo tutto sull’arsenico, presente naturalmente nelle nostre sorgenti, che rende unica l’acqua viterbese. Si potrebbe imbottigliarla e venderla come acqua minerale di lusso sui mercati arabi (pare che qualche stravagante sceicco sia pronto a fare follie), oppure utilizzarla per dei nuovi cocktail, tipo il moijito Talete, che già spopola sulle spiagge di Formentera e di Pescia Romana.
Capitale italiana dello sport. Dopo il clamoroso successo di “Viterbo capitale europea dello sport”, che nel 2012 fece conoscere la città dei papi praticamente a tutti i pastori bulgari, si può replicare con fiducia l’esperimento, anche se su una più modesta scala nazionale. D’altronde, cos’ha il capoluogo della Tuscia meno di una Treviso, di una Reggio Emilia, o persino di una Bologna (che non è la mortadella)?A partire dagli impianti. Per il calcio, lo stadio Rocchi è in attesa dell’omologazione per ospitare partite di subbuteo. Il basket? Al PalaMalè, quando non piove e non fa freddo, si sta benissimo: se si disputasse il campionato di pallacanestro in due giornate di primavera (in estate sarebbe troppo caldo, si scioglie il parquet) la Stella Azzurra avrebbe vinto più scudetti dell’Olimpia Milano. Per non parlare dell’impianto polivalente del camposcuola, progettato per l’atletica ma ora, dopo anni di incuria, in grado di ospitare contemporaneamente sulla sua pista gare di mountain bike, motocross, snowboard e, se preventivamente allagato, anche battaglie navali.
Capitale italiana della pipì. E’ la risposta viterbese alla gara di sputo del nocciolo di ciliegia di Celleno. L’idea è venuta durante una tranquilla estate in cui il centro storico è affollato di giovani avvinazzati e dalla vescica debole. Fiumi e fiumi di pipì invadono simpaticamente le antiche viuzze, donando loro un caratteristico colore giallo e un odore inconfondibile. Il giallo viterbese è giù un cult, potenzialmente più famoso del giallo del Tour de france, del giallo di Van Gogh, del giallo di Avetrana. Infinite le possibilità di sfruttare il marchio: magliette a tema, marche di birre pronte a sponsorizzare la città, una linea di profumi (eau d’Urcion) convegni che riuniscano a Viterbo i migliori chirurghi prostatici del mondo. E anche in Oriente dovranno arrendersi: il vero tsunami giallo è qui.
Capitale italiana delle capitali italiane. E’ la sfida più ambiziosa, quasi spavalda nella sua genialità futurista. Dopo Torino, Firenze e quell’altra città lì, quella col cupolone e tutte quelle rovine, sarebbe anche ora di cambiare. Basterebbe convincere il Governo e tutti i ministeri, a spostarsi 80 chilometri più a nord e il gioco sarebbe fatto. Tra l’altro, si risparmierebbe un sacco di soldi in affitti, che qui sono notoriamente più bassi, anche se bisognerebbe importare una grossa quantità di escort, di carminati, e di brunovespa. Difficile però convincere il resto della Nazione a spostare la festa della Repubblica dal 2 giugno al 3 settembre, e di far suonare l’inno di Mameli alla banda di Vejano.