Perché lo street food ha tanto successo? Perché si risparmia. Perché spesso è necessario. Perché è bello guardare negli occhi chi ti prepara con passione e dedizione il pranzo o la cena. Ma anche perché è un modo di vivere la strada in modo diverso.
“La terra racconta, la terra unisce” è stato lo slogan dello Slow Food Village, che dal 26 giugno al 5 luglio ha unito frotte di famelici cittadini sotto il segno dello street food e della cultura dell’alimentazione con presentazioni di libri, reading, degustazioni e show cooking a Viterbo, in piazza dei Caduti. Agli Stati Uniti si deve la rinascita del cibo da strada (che aveva già una tradizione secolare altrove, dalla vecchia Europa all’Asia) con i suoi carretti che hanno sempre sfornato hot dog, hamburger, carni condite con paradisiache sale BBQ e cibi provenienti da ogni angolo del mondo, ma da qualche anno anche il Bel Paese ha riscoperto questo nuovo stile del mangiare: in strada, appunto.
Grazie allo Slow Food Village, organizzato nell’ambito di Caffeina Festival, abbiamo avuto il privilegio di toccare con mano, ma soprattutto di assaporare, tantissime specialità gastronomiche che ormai ci sembravano relegate alle quattro mura domestiche delle massaie. Come lo scorso anno il villaggio eco-eno-gastronomico è stato costruito con i pallet – quelle pedane di legno che negli ultimi tempi vengono riciclate e utilizzate per costruire tavoli, poltrone e divani – in cui i visitatori hanno potuto passeggiare, ascoltare storie, scrutare cuochi all’opera e assaggiare, assaggiare e ancora assaggiare piatti tipici dello Stivale.
Da Modena con il gnocco fritto (sì, si dice ”il”) all’arabo-normanna Palermo con i cannoli siciliani, il panino con la meusa, che sarebbe la milza, e gli arancini o le arancine (la diatriba sul ”sesso” di questo fantastico street food made in Sicily è tuttora aperta), passando per la Liguria con la morbida focaccia di Recco, viaggiando verso le Marche per gustare le olive ascolane, l’Abruzzo con i goduriosi arrosticini di pecora e il basso Lazio con il panino Ciociaro, fino ad arrivare nella Tuscia con il gelato del Borgo di Bagnaia, la porchetta di Vallerano, e i piatti dell’enomagnoteca Il Calice e la Stella di Canepina: voto 9 per i maccaroni (o fieno canepinese) e il ciambellone alla canapa sativa. Non fate battute, ovviamente è tutto in regola. Per preparare i piatti viene infatti utilizzata una specie che ha solo lo 0,2% di Thc, ovvero la sostanza stupefacente tetraidrocannabinolo. Assolutamente da p-r-o-v-a-r-e.
Dieci e lode allo street food che aspettavo con ansia e che è arrivato venerdì 3 luglio: il Trapizzino. Un triangolo di pizza bianca, croccante fuori e morbida dentro, preparata con lievito madre che può essere riempito a piacere con polpette al sugo (#ciaoneproprio), parmigiana di melanzane, lingua di vitella in salsa verde, pollo alla cacciatora e stracciatella di latte vaccino con alici del Cantabrico. Se non lo avete mai assaggiato lo trovate a Roma, a Ponte Milvio e in via Giovanni Branca. Fatemi sapere.
E che dire del beverage (la roba da bere)? Un viaggio in lungo e in largo per l’Italia alla continua ricerca di vini e birre dai sapori e dai profumi delicati e intensi. Un viaggio dedicato a chi vive il cibo come piacere e passione.
Spuntini ideali per ogni palato, dove il cibo da strada si è trasformo in arte. E chissenefrega se il sugo del Trapizzino è finito sulla camicia, il gelato è colato sulle scarpe, la porchetta ha deciso di restare incastrata tra i denti e l’olio della pizza vi ha unto le mani per tutta la serata. Anche questa è la bellezza del cibo sa strada. Al prossimo anno caro Slow Food Village, e non ti azzardare a migrare verso altri lidi. Io ti voglio qui a Viterbo, per sempre, e magari per tutta l’estate. Pensaci, con affetto tua
Alessandra.