15112024Headline:

“Ma quale polvere? Il cacio si fa col latte”

"Possono imporre tutte le direttive che vogliono, ma non ci fermeranno"

Tonino Brizi all'opera con latte vero e genuino

Tonino Brizi all’opera con latte vero e genuino

“Non voglio essere io quello strano. Porto solo avanti una tradizione semplice e centenaria. Quelli strani semmai sono i supermercati e le multinazionali. Punto”. Apre così Antonio Brizi, piansanese doc e titolare dell’impresa familiare “Il Fiocchino”. Dopo essersi sentito chiedere: cosa ne pensa della possibile entrata del latte in polvere tra gli ingredienti base del formaggio?
La sua piccola attività, che non è un caseificio, semmai un laboratorio artigianale capace di sfornare pecorino, ricotta, primo sale e “giuncata”, rispecchia le regole base tramandategli dal padre, dal nonno, dal bisnonno, “e non so da quanti altri ancora prima – spiega – Lavoriamo la terra da sempre, alleviamo pecore e produciamo formaggi. Questo sappiamo fare, questo facciamo con passione”.
La storia di Tonino (a Piansano se chiedi di Antonio nessuno sa di chi stai parlando) percorre la strada parallela di tutti quelli che, come lui, alla notizia che l’Europa sta pensando di aprire le frontiere italiane al latte in polvere, si sono messi le mani nei capelli. “È allucinante – prosegue – si punta sempre più a fare il perfetto contrario di quanto vorrebbe il buon senso. E le problematiche partono da lontano, lontanissimo”.

Il caveau del Fiocchino

Il caveau del Fiocchino

Le colpe, presunte o effettive, per logica ricadono su un mercato impazzito. Basato su scale economiche che si reggono in piedi solo grazie alla follia della grande distribuzione, e intenzionato a trattare il consumatore come cavia. “Andiamo ancora più indietro però – sempre lui – l’industria alimentare ha falsato ogni cosa. Chi nel dopoguerra ha creduto in una rivoluzione, lavori meno, inserisci i trattamenti intensivi, gli antibiotici, i conservanti, non aveva i mezzi per comprendere il caos al quale stava andando incontro. Ed in un certo senso va giustificato. Oggi invece non si può giustificare più nessuno. Abbiamo i mezzi ed il cervello per comprendere il valore effettivo di una mozzarella, piuttosto che dell’olio o del pane. Perché continuiamo ad auto-infliggerci colpi mortali a suon di schifezze che ci propongono i soliti quattro marchi?”.
Ok, ma come se ne esce? Ammesso che ci sia una via di fuga. In fin dei conti anche il “bio” ha i suoi lati oscuri… “Territorialità e stagionalità. Oltre il bio, oltre tutte le sigle coniate ad hoc per riempire dei vuoti cosmici – chiarisce Tonino – prendo in esame il mio settore, in Italia abbiamo 400 formaggi diversi. Va bene una volta assaggiare qualcosa di diverso, ma nel Lazio si dovrebbe consumare un cacio laziale. E, meglio, a Marta uno martano. Importiamo delle tali schifezze, che solo leggendo l’etichetta dietro viene il voltastomaco”.

Una delle "semplici" fasi della lavorazione

Una delle “semplici” fasi della lavorazione

Insomma, per chiudere, questa nuova trovata dei signori di Bruxelles, quanto è bestiale? “Uno dei passi più lontani dalla genuina cultura contadina – conclude – Ma resisteremo comunque. Teniamo duro. Ognuno il suo. Noi continueremo a fare il formaggio con il caglio naturale di agnello. Ad utilizzare solo latte piansanese. A proporre ai consumatori le nostre tre, quattro specialità. Che sono semplici e genuine, l’ingrediente più esotico è il sale. Ma che, una volta riposte in cella, durano più di due anni. Questa è la ricetta di mio padre, così sto insegnando a metterla in pratica a mia figlia Elisa. Mi auguro che anche lei farà lo stesso in futuro”.

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