Cinquant’anni di vita dell’oleificio sociale di Canino rappresentano uno straordinario traguardo per uno dei luoghi dell’eccellenza nel Viterbese e in Italia. Dimostrano la forza e la modernità della struttura cooperativa nonché la competitività di un prodotto di qualità che richiama le radici storiche di questa terra, le collega con il presente e col futuro.
Gli oltre 1.100 soci costituiscono un patrimonio inestimabile di lavoro, passione, professionalità e, accanto al valore economico, rappresentano il vero valore aggiunto dei nostri territori. Sono la dimostrazione vivente che la qualità dei nostri territori e dei nostri prodotti, insieme alla valorizzazione del paesaggio, sono condizioni essenziali per uno sviluppo sano basato sull’identità locale.
L’olivicoltura è ancora una grande opportunità per l’Italia ma bisogna guardare con spirito di verità agli elementi critici e ai segnali di difficoltà che arrivano dal settore. L’allarme lanciato dalle maggiori organizzazioni di categoria e della cooperazione a livello nazionale parla proprio della crisi che sta attraversando il settore in Italia. L’annata 2014 è stata pessima, con un calo produttivo drammatico pari al 30-40% della produzione media degli anni precedenti. Una situazione che ha messo in crisi i produttori e le coltivazioni di pregio per il Paese, rispetto alla quale dobbiamo adottare azioni urgenti.
Seppur il calo dello scorso anno dovesse rivelarsi episodico, i rischi per il settore rimangono. Parlo della continua perdita di competitività, della mancata innovazione, dell’abbandono della produzione, del pericolo di esporre l’olio italiano a fenomeni fraudolenti. In tutti i Paesi le piantagioni di olivo sono diventate da reddito e la nuova olivicoltura mondiale che arriva a 3 milioni di tonnellate è ottenuta con piantagioni moderne, altamente produttive e competitive. Si tratta di produzioni di qualità crescente, in grado di competere sui mercati con la stessa qualità delle piante italiane ma con la differenza che l’Italia, con le sue produzioni decrescenti, non è in grado di imporsi in nessun mercato.
Nel 2013/2014, le produzioni italiane, inferiori alle 400mila tonnellate, rappresenta il 13% della produzione mondiale. Guardando inoltre la sequenza delle statistiche di circa un decennio, si comprende che siamo di fronte a un degrado complessivo della struttura che regge il comparto olivicolo. Si è passati dalle 800mila tonnellate di olio nel 2004 a meno della metà nel 2014. E questi risultati deludenti, l’Italia li ha seguiti in un momento in cui il valore dell’olio stava risalendo verso livelli di convenienza economica e malgrado nel Mediterraneo si annunciassero produzioni da record.
Il paradosso è che l’aumento del valore dell’olio andrà a favorire i principali competitori italiani: il consumo in Italia si attesta intorno alle 600mila tonnellate. Significa che per soddisfare il nostro fabbisogno interno servono altre 200mila tonnellate di buon olio, alle quali si dovranno aggiungere altre 200mila per alimentare le esportazioni. Quindi al momento l’Italia produce circa metà dell’olio rispetto ai suoi fabbisogni.
I nostri competitori sono aumentati, dentro e fuori l’Europa: il Marocco, la Siria, la Tunisia, la California, il Cile, l’Argentina e l’Australia. Di fronte a questa nuova realtà, occorre innanzitutto ricostruire lo scheletro di una struttura produttiva efficiente attraverso nuove piantagioni che siano, nel giro di pochi anni, in grado di sopperire ai fabbisogni nazionali e mantenere l’immagine di un mondo olivicolo dinamico e produttivo in grado di sostenere un’esportazione di qualità e mantenere l’immagine di un settore dinamico, capace di offrire occupazione e recuperare le forze lavoro che hanno abbandonato l’olivicoltura tradizionale.
Queste problematiche sono state discusse in Parlamento e il risultato è stato una risoluzione approvata alla Camera in cui si impegnava il Governo a promuovere un nuovo piano olivicolo nazionale. Così come prima conseguenza nel DL 51, quello sulle emergenze in agricoltura, è stato presentato e approvato un emendamento che amplia il fondo di rotazione da 20 a 32 milioni. In sede di conferenza Stato-Regioni, lo stesso emendamento è servito a sollecitare l’accordo per cui le Regioni si sono impegnate su indicazione del Governo a inserire nei Psr misure specifiche a favore del comparto.