Passerotto vattene via, fregatene di quello che cantava Baglioni. Scappa, tu che puoi. Fai frullare le ali, decolla, e imbocca il finestrone. Fallo per il tuo bene, perché a stare qui si diventa matti, è peggio dei pallini dei cacciatori o dello spiedo scoppiettante. Eccolo, il passerotto sciagurato, uno in carne e ossa – mica l’uccellino di Twitter – che svolazza in sala d’Ercole, in una mattinata calda d’inizio estate, in quel lasso di tempo, di solito lunghissimo, che precede l’avvio del consiglio comunale.
E’ facile immaginare come sia entrato: le finestre sono spalancate, nel vano tentativo – in collaborazione con un paio di ventilatori – di portare refrigerio ai consiglieri comunali, agli assessori, ai giornalisti e alla varia e variegata umanità che ancora trova il tempo e la forza di assistere alle sedute. E’ entrato, il volatile, e adesso non sa come uscire, o forse non vuole, perché anche i passeri sono autolesionisti. Forse vuole soltanto vedere da vicino – dall’alto in basso – come va l’amministrazione comunale. Una prospettiva diversa, “a volo d’uccello” diciamo, sul governo della città, ecco. Altro che streaming.
Chissà se il frugoletto sente anche quel consigliere di minoranza che alza gli occhi al cielo e, in preda ad una crisi mistica, esulta: “Finalmente un po’ di passera in Comune”. Triviale, molto triviale. Altri lo guardano con tenerezza. Altri ancora s’interrogano: “Con i pennuti abbiamo già dato. Fino a qualche tempo fa c’era persino il Gabbiano”. I messi comunali, impagabili, tentano le manieri cordiali: si spengono i riflettori, affinché la luce del sole mattutino indichi la retta via all’animale. Che alla fine se ne va, torna libero a sorvolare gli antichi tetti e le torri, a posarsi sui rami dei pochi, pochissimi alberi rimasti in piedi in centro, a scacuzzare sui turisti accaldati. Vola, passero solitario, vola. Mentre qui “procediamo con l’appello nominale”.