E’ il calcio più vero, quello dove non si gioca per soldi ma per amore, dove l’agonismo è feroce, ma poi, tutto sommato, siamo sulla stessa barca, e al triplice amici come prima. E’ il calcio delle persone, soprattutto, dei presidenti mitici, dei dirigenti tuttofare, delle bandiere. E’ il calcio di provincia, dei paesi e dei campanili, delle imprese memorabili. Anche a distanza di anni. Tutto questo ha raccontato – e lo ha raccontato in modo eccellente – Claudio Di Marco, giornalista sportivo viterbese dalla carriera lunga e onusta di riconoscimenti che ha dato alle stampe – per i tipi dell’Accademia Barbanera – La Provincia nel pallone. Sottotitolo: “Laddove il calcio caratterizza usi e costumi”.
Presentazione con lustrini incorporati, ieri nella Sala regia di Palazzo dei priori. La prima di una serie che interesserà, giustamente, l’intera provincia per buona parte dell’estate. Già stasera si replica a Soriano nel Cimino, con i protagonisti di quella Sorianese che un decennio fa conquistò la serie D, a partire dall’allenatore, il formidabile Sergio Pirozzi. E ancora: Nepi, Bagnoregio e via lungo le strade e nelle piazze della Tuscia.
Ieri, visto che eravamo a Viterbo, gli ospiti erano di lusso, e il tempismo di averli chiamati alla vigilia della partita più importante del calcio cittadino negli ultimi anni è un’ulteriore nota di merito per Di Marco. C’erano: Guido Carboni (allenatore), Stefano Bianconi (difensore centrale alla Stam), Ferdinando Ciambella (team manager), Antonio Musella (portiere) e Vincenzo Santoruvo (attaccante). In pratica: l’ossatura di quella vecchia Viterbese (la Unione sportiva) che nel 2004 arrivò a giocarsi la serie B nella finale playoff contro il Crotone. E la nuova Viterbese, l’Adc della famiglia Camilli, domani andrà a giocarsi una tappa importante di avvicinamento al ritorno tra i professionisti contro il Taranto, guarda caso squadra rossoblu come quella calabrese.
Ora, non sarà sfuggito che l’atmosfera che inzuppa oggi la città è simile, molto simile, a quella che avvolse i leoni in quel giugno di undici anni fa. E sentite Guido Carboni, il tecnico aretino che su quel campionato costruì la sua fortuna (poi è stato a Bari, in B, ad Avellino, Rimini, Frosinone, Empoli, Benevento): “Mi ricordo quei giorni. Eravamo passati dai settecento spettatori delle partite invernali ad una coda di trecento metri solo per prendere il biglietto in prevendita. Arrivando qui, e mancavo da dieci anni, ho visto uno striscione con scritto ‘tutti allo stadio’, so che c’è una sfida decisiva e tiferò per la Viterbese. Resto tifoso gialloblu e spero con tutto il cuore che questa città torni nel calcio che conti, perché se lo merita”. Applausi, lacrimuccia dei tifosi più de panza, e avanti con il monumento Ciambella, a raccontare le peripezie (eufemismo) di quella stagione senza quattrini ma con tante palle.
E il libro? Meglio acquistarlo che spiegarlo qui. Valgano però le presentazioni di Livio Treta (in rappresentanza del sindaco Michelini), del sindaco di Bagnoregio (ed ex presidente e figlio di presidente della squadra locale) Francesco Bigiotti: “Se non era per il calcio, certi paesi della provincia non l’avrei neanche mai conosciuti”. E ancora, Moraldo Adolini, ex giocatore e ora assessore in quel di Nepi: “Questo, il nostro, è calcio vero”. E poi, la ciliegina, il commovente ricordo di Ugo Russo, storico radiocronista di Tutto il calcio minuto per minuto andato in pensione di recente: il suo addio in diretta raccontato durante Livorno – Trapani del 12 ottobre scorso, ha fatto piangere gli sportivi italiani. Qui ripete: “Il rispetto per il pubblico, la sua attenzione, è la chiave di questo mestiere. E Claudio Di Marco lo ha sempre fatto, bene, nella Tuscia”.
E si va avanti così, tra ricordi e battute, abbracci e rimpianti di un calcio che forse non c’è più, ma che resiste. Nello stile delle persone. Questione di educazione.