Andrà a finire che ci mancheranno persino le patetiche polemiche sul calcinculo in piazza. Perché Caffeina chiude, o rischia di. E non arriverà neanche in doppia cifra, niente edizione numero dieci, ci si ferma qui, a nove: il banco vince, chi ha scommesso perde. Chi ha scommesso sono loro, Andrea Baffo e Filippo Rossi, i due fondatori, i soci promotori, “due folli”, come si autodefiniscono, dimostrando sano realismo.
Caffeina chiude e questa conferenza stampa al caffé Schenardi non è il solito pianto greco già sentito negli ultimi due, tre anni: “Camminiamo sul crinale dell’esistenza o dell’estinzione”, ammette Baffo. Rossi precisa: “Non è una polemica contro nessuno, è l’analisi dei fatti, dei numeri”. Numeri impietosi: l’edizione che parte oggi, secondo gli organizzatori, costa 250mila euro. Che al momento non sono coperti interamente, visto che ancora manca il contributo della Regione (il bando relativo agli spettacoli è in pubblicazione), e qualche sponsor privato deve ancora saldare. Poco, troppo poco, per guardare al futuro. Ancora meno se si guardano le cifre di altri festival letterari del panorama nazionale: l’inarrivabile Mantova (oltre 1 milione e trecentomila euro di budget) o quel Pordenonelegge, di cui Rossi e Baffo mostrano i conti e indicano come paragone: “Perché organizza lo stesso numero di eventi che facciamo noi, anche se concentrati su quattro giorni invece dei dieci di Caffeina. E’ incardinato in una fondazione, voluta dalla locale Camera di commercio. Riceve 500mila euro di finanziamenti pubblici dalla Regione (il Friuli Venezia Giulia è a statuto speciale, ndr), dalla Provincia e dal Comune. Altri 350mila arrivano dagli sponsor privati. Totale 868mila, di cui 150mila impegnati per la gestione durante tutto l’anno, non soltanto nel periodo del festival”. Un sacco di soldi, perché fare cultura costa.
Soldi che consentono a Pordenone (che quest’anno ha inviato una sua volontaria, Chiara, a vedere come funzionano le cose qui) lussi impossibili per Caffeina. “Pagano i ristoranti e gli alberghi – dice Rossi – mentre noi siamo ancora fermi ai favori personali, all’ospitalità concessa dagli imprenditori locali, che tra l’altro non finiremo mai di ringraziare. Possono pagare anche i volontari più esperti, quelli con almeno due anni di lavoro alle spalle, cosa che noi non possiamo permetterci. Persino far mangiare i nostri collaboratori è un problema, ci affidiamo alla generosità dei produttori, è una vera e propria colletta alimentare. Figuriamoci il resto: per la comunicazione abbiamo tagliato tutto, non possiamo spendere né per la pubblicità sui giornali né sui manifesti e se avessimo il budget dei friuliani Caffeina diventerebbe Woodstock. I nostri direttori artistici lavorano pro bono, così come gli intervistatori, i moderatori dei dibattiti, i ragazzi dello staff, quelli della logistica. Il nostro è un vivere alla giornata, anche il più piccolo imprevisto, come quella chitarra particolare voluta da Vinico Capossela e che abbiamo dovuto noleggiare al costo di mille euro, rischia di far saltare il banco. Così non possiamo andare avanti”.
L’appello di Baffo e Rossi è alla città, “quella stessa città che contribuì a creare Caffeina attraverso di noi”, e che ora deve dimostrare di potersela permettere. Rossi è drastico: “Se la può permettere, ma bisogna vedere se vuole”. Lo strumento della Fondazione (40 soci tra imprese e liberi cittadini), creata tre anni fa, ha soltanto allungato l’agonia, ha consentito altre due edizioni, ma oggi risiamo punto e a capo. Caffeina è cresciuta troppo, in un periodo di crisi diffusa in tutti i settori, e ora le manca l’aria, il pane. I fondatori promettono di affrontare l’argomento più delicato – quello cioè che riguarda i grandi finanziatori, pubblici e privati – alla fine del festival, dopo il 5 luglio. Allora ne vedremo, e ascolteremo, delle belle. Al momento però indicano una prima ancora di salvezza, immediata, d’emergenza, un test “a pelle”, per verificare se davvero Caffeina ha una chance di sopravvivenza in chiave viterbese, o dovrà trasferirsi altrove, cioè “mettersi sul mercato”, o peggio ancora chiudere.
“I viterbesi e tutti quelli che verranno al festival hanno un’occasione per dimostrarci che andare avanti è possibile. Come? Pagando il biglietto volontario giornaliero, che costa un euro e che si può comprare alla cittadella di Caffeina in piazza del Comune. Se anche il 20 per cento delle persone che verranno pagheranno il biglietto sarebbe un successo, parliamo di decine di migliaia, di centomila euro. C’è anche il biglietto per i singoli eventi, certo, e la nostra lotteria. E sì, a chi lo chiede rispondo che è vero: stiamo chiedendo l’elemosina”, dice Rossi, sincero. Un euro, un caffè offerto dallo sponsor e l’ingresso nella porta della fortuna (fornita da un altro sponsor).
Se la cosa dovesse funzionare, il dinamico duo avrà un doppio guadagno: i soldi incassati per coprire i buffi, e la testimonianza tangibile dell’affetto del pubblico nei confronti della loro creatura. Se invece l’iniziativa dovesse fallire, ecco l’epitaffio da incidere sulla tomba: “Qui giace Caffeina, vittima dell’indifferenza”. E calcinculo, all’indifferenza.