Tutto ebbe inizio qui. Il campo in terra, anzi in polvere, la tribuna di pietra, il rossoblu ovunque, i palazzoni che s’affacciano da lontano. Qui nacque Leonardo Bonucci, il Bonucci giocatore che un giorno sarebbe arrivato in serie A, in Nazionale, a giocare finali di Champions e di Europei.
Qui, ieri, Leonardo Bonucci è tornato, bambino tra i bambini, per una cosa buona e giusta, di quelle che si aspettano da campioni come lui. E cioè l’evento organizzato da Senza Caffeina in collaborazione con Officina soccer (la società viterbese di procuratori ed agenti): una partita di calciotto tra i ragazzi dei vari settori cittadini del capoluogo (i padroni di casa del Pianoscarano, i cugini del Pilastro, il BarcoMurialdina, il Calcio Tuscia, l’Asc Viterbo) e i bambini dell’Associazione genitori oncologia pediatrica, l’Agop. Alla quale andrà il ricavato dell’incasso, tre euro a biglietto per una tribuna quasi piena.
Per capire cosa è stata questa cosa, questa giornata, bisogna tornare indietro alla metà degli anni Novanta. Il campo è ancora “del Carmine”, perché Oliviero Bruni – uno dei fondatori del Pianoscarano nel 1949 – è ancora in vita. Leonardo è un ragazzino che gioca a pallone insieme al fratello più grande, Riccardo, e ci sono delle foto deliziose di quelle partite che partite non sono, ma passaggi e tiri, magari calcio “alla tedesca”, giochi da bambini, pomeriggi che non finiscono mai. Soltanto dopo il passaggio alle prime categorie giovanili, i Giovanissimi, gli Allievi, qualche allenatore illuminato (forse Massimo Baggiani, forse un altro) capirà che quel ragazzone non funziona come centrocampista, o addirittura come attaccante, ma bisogna piazzarlo al centro della difesa. Per fermare gli avversari, certo, ma anche per rilanciare l’azione d’attacco, coi suoi piedi precisi e la sua visione di gioco. E’ nato un giocatore vero, che poi sboccerà nella Viterbese e finirà nella Primavera dell’Inter (sì, dell’Inter), l’ascensore per la gloria.
Oggi Leonardo arriva in leggero ritardo, come certe dive di una volta, e trova una folla ad aspettarlo dietro alle transenne. L’organizzazione del Pianoscarano e di Caffeina è perfetta, il servizio d’ordine integerrimo. Il Cayenne nero attracca davanti al cancello, grandi e piccoli s’accalcano e urlano: “Leo, Leo”. Bambini con magliette di Trezeguet e del brasiliano Diego, juventini in una Juve che non era ancora tornata a vincere, una Juve senza Leo. Mamme in adorazione, papà ancora peggio. I bodyguard introducono Bonucci nell’antistadio, dove ad aspettarlo ci sono mamma Dorita, papà Claudio, il fratello Riccardo fresco papà di due gemellini, i nonni commossi. L’abbronzatura di Formentera – dove Leo era in vacanza – si scioglie negli abbracci ai parenti, agli amici di quartiere.
Poi il difensore azzurro è dentro al campo, saluta la tribuna baciata dal sole, posa per le foto coi piccoli giocatori in maglia Agop, troppo emozionati per fare il riscaldamento. Lui capisce la situazione: un mese fa provava più o meno le stesse sensazioni all’Olimpiastadion di Berlino, perché il calcio è sempre lo stesso, ovunque lo si giochi. “Schieramo le squadre, ragazzi?”, chiede ai giovani compagni. Il calcio d’inizio lo dà lui, la partita comincia ed è una partita come tutte le altre, bisogna far gol ed evitare di prenderne.
Bonucci se ne va, ancora scortato, ad inaugurare il vecchio bocciodromo trasformato – anche grazie al suo contributo – in palestra e sala polivalente per i ragazzi del Pianoscarano, per i nuovi Leonardo. Gli regalano magliette del grifone personalizzate, regali per i piccoli Bonucci, Lorenzo e Matteo. Gli fanno firmare una numero 19 della Juventus. Lo abbracciano e lo coccolano vecchi compagni di squadra come Patrizio Fimiani, e naturalmente Paolo Manganiello, direttore di Senza Caffeina. Lui sale ancora dentro la Porsche, lo portano via mentre altri pupi piangono per un autografo impossibile da avere, visto il caos.
Leonardo è già andato, destinazione cortile dell’Abate, per l’intervista con Giulio Marini, ancora per Senza Caffeina, ancora per beneficenza. Affinché i viterbesi sappiano chi è oggi Bonucci: un campione dal cuore grande, allo Stadium di Torino come all’Oliviero Bruni del Carmine.