Nel 2003 ci provò tale Silvio B. da Arcore. Ma inutilmente. La sua proposta da 125milioni di euro fu rifiutata, come al gioco dei “pacchi” su Mamma-Rai. E tutto tornò uguale a prima. Oggi come oggi invece a tentare la grande et paracula manovra sono alcuni investitori (termine dolce) made in Usa. Che, partiti dalle lontane americhe, avrebbero portato con loro una valigiata di soldi senza fine. Anzi, con un fine ben preciso: quello di acquistare la cosiddetta collezione Torlonia.
Sono ben seicentoventi le opere sotto i riflettori a stelle e strisce. Attualmente parcheggiati in via della Lungara (un tempo museo, poi schifosamente convertito in 93 mini-appartamenti) e a palazzo Giroud, zona Conciliazione, Roma. Di proprietà, e pure qui si potrebbe aprire un discorso lungo e fastidioso, proprio della famiglia Torlonia. Principino Alessandro (sì, ancora esistono), più nipoti vari e allegati.
L’immenso patrimonio, il maggiore appartenente a privati, rischia così di salutare l’Italia. E di finire, insieme a tanti (troppi) suoi simili, tra le mani sbagliate di qualche avvoltoio: “Faccendieri senza scrupoli – li han definiti nella capitale – travestiti da curatori”.
Ora, ci si chiede, come mai una testata locale come Viterbopost si occupa di un caso simile? Semplice. Nella collezione che fu dei Giustiniani infatti ci stanno anche gli affreschi della “tomba François”. Ubicata proprio qua, in Tuscia. E più precisamente nell’area archeologica di Vulci, tra Montalto di Castro e Canino. Un gioiello assoluto piantato nel viterbese.
La notizia è sbucata fuori dalle colonne di Repubblica, su segnalazione dell’associazione “Italia nostra”. Partita come dubbia, è stata poi confermata dal ministro della Cultura, Dario Franceschini. Che subito si è mosso, al fine di contenere la fuoriuscita dallo Stivale. Franceschini è convinto che i proprietari non sarebbero disposti a cedere alla lusinghiera offerta. Ma, nel dubbio, ha anche messo in moto gli apparati burocratici. La sua idea è quindi quella di spostare il pacchetto completo in un museo pubblico (attualmente stanno in un garage, di lusso, ma pur sempre un garage). Una linea morbida, pertanto, che da un lato non andrebbe incontro all’esproprio, e quindi a sentenze infinite. Dall’altro lascerebbe poi i certificati in mano ai Torlonia.
E qui la vicenda torna sul locale. Poiché i due sindaci viterbesi di cui sopra, preoccupati, han deciso di scrivere congiuntamente a Franceschini. “Crediamo fortemente che le opere prima o poi siano destinate a tornare a casa – dice Sergio Caci, from Montalto – Non solo in ottica campanilistica, ma anche in un contesto globale. Ok, sono belle ovunque le si piazzi. Ma queste terre hanno dato ispirazioni agli autori, non ce lo dimentichiamo”.
L’altra faccia del calamaio è invece Mauro Pucci, primo cittadino di Canino. “Siamo disposti a garantire tutto l’appoggio alle istituzioni – prosegue la coppia – una rivalorizzazione andrebbe letta anche come chiara occasione di rilancio del territorio”.
Giusto. Non tutti i mali vengon per nuocere, insomma. Qualora i Torlonia non vendessero, qualora si decidesse di aprire questo museo, qualora lo si faccesse qua, la vetrina turistica sarebbe grande, nuova e pomperebbe di brutto. Certo, prima c’è da superare tutti questi “qualora”. Ma, come si dice, tentar non nuoce.