La delusione del popolo gialloblù a fine partita ce l’ha in faccia tutta lui, il Comandante. Lascia la tribuna centrale scuro in volto, scuotendo la testa ma battendo le mani comunque alla Viterbese, che ha perso ai rigori contro il Taranto ma che avrebbe meritato l’accesso alle semifinali dei play off. Quello che gli passa per la testa gli si legge in faccia: rabbia. Tanta rabbia. Perché la vittoria la Viterbese ce l’ha avuta a portata di mano, ma se l’è lasciata sfuggire ingenuamente. La lotteria degli undici metri ha fatto il resto. Adieu sogni di gloria. Rabbia, dunque, ma anche un velo di tristezza, di amarezza. Perché quella di oggi potrebbe essere stata l’ultima partita della Viterbese con i Camilli al comando, e un neanche tanto velato dispiacere nell’espressione del patron parrebbe confermarlo. L’abbandono era nell’aria da tempo, prima Vincenzo e poi lo stesso Piero hanno nei mesi scorsi ribadito l’intenzione di lasciare, confermata anche oggi ai microfoni dei cronisti. Neanche a mettersi a parlare di ripescaggio, dunque, perché se le intenzioni sono quelle di andarsene anziché rilanciare, allora i viterbesi possono mettersi anche l’anima in pace: la serie C non la vedranno più tanto presto. Anzi, forse proprio non la vedranno più.
Eppure il pomeriggio era cominciato sotto i migliori auspici, afa a parte. Davanti ai cancelli del “Rocchi”, la lunga fila sotto al sole per entrare sotto la dice già lunga su quello che si troverà una volta dentro. L’atmosfera è quella della gara delle grandi occasioni, e i 2500 spettatori locali, uniti ai circa 500 ospiti, lo dimostrano. Passati i controlli, si fatica a trovare un posto in tribuna, presto piena. Più facile in Curva, inizialmente vuota al centro, ma, don’t worry, il silenzio dei tifosi organizzati dura solo una decina di minuti: i gruppi sono in protesta per solidarietà con i supporters del Taranto, a cui sono state imposte limitazioni per la trasferta a Viterbo, tanto da portarli alla decisione di non partecipare. Poi entrano ed espongono uno striscione che la dice lunga su come la pensano al riguardo: “Non c’è partita senza confronto”. E vagli a dare torto.
Intanto la squadra si scalda. In campo il vice presidente Luciano Camilli assiste al prepartita con il diesse. Arriva il presidente Vincenzo, sale nel box riservato alla società, dove è solito vedere la partita. C’è molta euforia sugli spalti, sa di stare per assistere ad un match di altra categoria. Poi zitti tutti, arriva Piero: la tribuna va in visibilio ed esplode in un applauso tutto per il Comandante, con la chiara intenzione di fargli sentire vicinanza e calore tanto da convincerlo a non mollare. Lui gradisce, ma non si scompone, tira dritto. Entra nello spazio dedicato ai membri della società, saluta e stringe le mani ai tifosi storici abbonati da una vita. Stavolta non c’è il sindaco Leonardo Michelini con cui scambiarsi un gelido saluto, non c’è nessun rappresentante del Comune se non i soliti consiglieri aficionados che li trovi al “Rocchi” a patire e a gioire per la Viterbese da anni. Qualche timido segnale di contatto con il delegato allo Sport, Sergio Insogna, ma poca roba.
Si parte. La Viterbese gioca un grande primo tempo. Il Comandante segue la gara con un’inusuale calma. Certo, si inalbera per il gol mangiato di Assenzio e applaude al talento naturale di Pero Nullo, giocatore suo pupillo e da troppo tempo oscurato dalle scelte incomprensibili del tecnico Gregori. Qualche insulto di rigore all’arbitro, che fa sempre colore, e qualche imprecazione per gli errori dei suoi, ma tutto secondo routine. Più pacato del solito, gli saltano i nervi solo quando i giocatori del Taranto non mettono fuori la palla nonostante Pero Nullo e Perocchi siano rimasti a terra per infortunio. Cortesia che a loro invece era stata usata dalla Viterbese poco prima. Questione di stile. E quando uscirà il folletto di Fratta Todina, il patron Camilli si alzerà in piedi e applaudirà con convinzione, e con lui l’intero stadio. Tributo a un talento straordinario, difficile da trovare in questa categoria. E non è un caso se, uscito il Pero, per la Viterbese si spegnerà la luce.
Al gol di Giannone dell’1-0 a zero lo stadio rischia di venire giù. Tutti in piedi ad esultare, manca ancora un tempo ma la semifinale è ad un passo. Nella ripresa arriva il temporale e la temperatura si abbassa: segnale che qualcosa sta cambiando e la Viterbese in campo perde di smalto di fronte a un Taranto che gioca certamente con una sua quadratura, ma senza impressionare granchè. Cincischia che ti cincischia, i delfini agguantano il pareggio: il “Rocchi” si ammutolisce, la curva tarantina riprende pelo dopo aver taciuto per quasi tutto il secondo tempo. In tribuna si dà vita ad un lieve scambio di bottigliette d’acqua – fa caldo, bisogna bere tanto! – tra i locali e alcuni tesserati rossoblù, lasciati incautamente troppo liberi di provocare i padroni di casa. Parole grosse, intervento delle forze dell’ordine e tutto torna quieto. Normale amministrazione.
Si va ai rigori. Il primo per i tarantini lo segna l’ex di turno, Nicholas Ibojo. Che poi pensa bene di andare sotto la Nord con la mano dietro le orecchie. Forse si è dimenticato già delle collette dei tifosi che gli hanno permesso di sopravvivere in quella tanto epica quanto sfortunata annata in cui giocò a Viterbo sotto la disgraziata gestione Graziani. Memoria corta. Poi Giannone, poi Ciarcià, poi Oggiano, poi Giglio. E poi i fatali errori di Dalmazzi e Neglia. Le lacrime, le facce lunghe, la disperazione. La corsa della Viterbese finisce ai play off finisce qui. Ma la partita per il suo futuro è appena cominciata.