Brutta bestia la nostalgia. E questa è ancora peggio, perché è nostalgia dei mala tempora, di quando eravamo povera gente. Sono passati undici anni da quell’impresa, qualcuno ha fatto carriera, qualcuno si è ripulito, ma se si scava bene sotto la buccia si ritrova sempre la stessa pasta. Anzi, la stessa polpa.
Undici anni fa la Sorianese vinceva il campionato di Eccellenza e conquistava per la prima volta nella sua storia la serie D. Un traguardo che mandò in brodo di giuggiole un paese appassionato e caldo, malato di pallone come forse solo di castagne. Alla guida di quel gruppo che fece l’impresa c’era Sergio Pirozzi, un altro figlio della montagna, il collegamento che non ti aspetti tra i monti Cimini e i monti della Laga.
L’altra sera, in una serata di coppe e di campioni, Pirozzi è tornato a Soriano nel Cimino. In località La Mandria, per la precisione, dove si celebrava qualcosa di religioso (l’Assunzione o il Corpus Domini o qualche altra imperdibile ricorrenza) e anche qualcosa di tremendamente laico come una vittoria sportiva. Ad unire il sacro e il profano ci ha pensato la presentazione de La Provincia nel pallone, nuovo libro di Claudio Di Marco (edizioni Accademia Barbanera) che proprio di imprese del genere, il piccolo calcio che fa grandi cose, tratta. A fare da padrone di casa, invece, c’era il sindaco di Soriano Fabio Menicacci, che di Pirozzi è anche collega, non perché pure lui alleni una squadra – ci mancherebbe solo questo – ma perché entrambi sono alla guida delle rispettive amministrazioni comunali.
Pirozzi è la star. Di campionati ne ha vinti tanti. Centro Italia, Ostia, Soriano appunto, Rieti (portato in C2) e da qualche settimana ancora l’Eccellenza, alla guida del Trastevere. Insieme a lui, in questa serata di pizzette fritte e di attesa per Barcellona – Juventus, ci sono altri tre pezzi di quell’annata straordinaria, Fabio Adornato e i fratelli Fabiani. Qualche irriducibile romantico, tra i tifosi e gli amici, se ne sta sulle panche ad ascoltare: proprio oggi, che Soriano ha perso la sua squadra (l’ex presidente Torroni porterà il titolo a Monterosi, il sindaco sta provando a rimediare con una fusione forse col Vasanello), questo racconto è più bello e doloroso. Più umano, da romanzo russo.
“A Soriano, quell’anno, trovai l’essenza del calcio per come lo intendo io. Intendiamoci: vengo dalla Terza categoria, so cosa vuol dire fare le righe al campo alla vigilia della partita, so cosa vuol dire spalare la neve per giocare: lo facevamo ad Amatrice, lo facemmo anche a Soriano, prima della partita contro la Spes Mentana che tutti avevamo voglia di giocare e di vincere. Ci trovammo lì, la mattina, giocatori, dirigenti e tifosi, a ripulire il terreno dalla coltre. Fu quell’unione, e quell’atmosfera, che ci consentì di disputare un grande girone di ritorno, quindici vittorie e due pareggi, di prenderci il campionato e poi anche il titolo di supercampioni del Lazio, nella finale del Flaminio contro la vincitrice del girone B, il Ferentino degli argentini”.
Annate così restano nella storia. Eppure per chi conosce l’allenatore di Amatrice, non sono delle sorprese. Pirozzi ha sempre gli stessi metodi: pretende la massima serietà e la massima applicazione, ma sa anche sdrammatizzare, e motivare alla grande i suoi. Anche a Soriano aveva i suoi riti: “Il caffè che mi faceva il custode, un classico tutti i pomeriggi, tant’è che alla fine rischiavo l’intossicazione. Avevamo una scaramanzia che ci imponeva di fare la pipì in un certo modo prima di ogni partita (meglio non scendere nei dettagli, ndr). Le partitelle della vigilia, quando mischiavo i caratteri più scorbutici dei ragazzi e qualche volta ne usciva una miscela esplosiva. Cose così. Anche le possibili grane, in un contesto del genere, potevano trasformare in qualcosa in più: non facevo giocare il centravanti Boncori, per esempio, perché per me lui non avrebbe mai fatto un metro di corsa, ma fu proprio Daniele a segnare il gol decisivo contro il Torbellamonaca. Certo, gli allenatori sbagliano, ma ci vuole il coraggio, e l’umiltà, per ammettere l’errore. Perché tecnico e presidente saranno anche decisivi in una società che ambisce a vincere, ma poi magari la differenza te la fa il magazziniere”.
Oggi che Pirozzi è sindaco di Amatrice (primo anno del secondo mandato, “per amore della mia terra, non per politica”), e che è salito alle ribalte nazionali per la lotta contro la chiusura dell’ospedale e per la tutela dell’amatriciana dagli assalti degli chef pettinati, continua a dedicarsi al calcio. E a vincere. Il capolavoro col Trastevere è l’ultima perla: “Dicevano che avevo la testa da un’altra parte, distratto dagli impegni istituzionali, ma per me il calcio è sempre stato un divertimento, specie quando trovo le condizioni ideali. Lontane da quel mondo pieno di cose poco chiare, dagli atteggiamenti esagerati, dalle polemiche”. Per dire: quando allenava ad Aprilia, in serie D, Pirozzi scrisse una lettera all’allora presidente della Lega nazionale dilettanti Carlo Tavecchio (sì, proprio lui). Si era alla vigilia della “sperimentazione” delle scommesse anche per le partite di serie D. “Gli dissi – ricorda il tecnico – che forse non era il caso provare. Perché questi sono campionati difficili da controllare, non c’è la televisione, il clima in certi posti è particolare. Insomma, secondo me era meglio evitare. Oggi quelle stesse persone si dicono indignate dagli scandali delle scommesse in serie D…”
Meglio metterci una pietra sopra. Addentare il panino con la salsiccia, ascoltare l’orchestra de La Mandria, scherzare col fido Adornato e coi fratelli Fabiani. Qui, in provincia, certe cose non arrivano. O se arrivano si meritano un commento sarcastico, e una bella risata.