Occhéi, sindaco, è tornato da Expo (voto 10)? Si è divertito? Ha fatto pubbliche relazioni? Si è fermato a papparsi una rustichella (voto 5.5) all’autogrill di Piacenza ovest? Bene, benissimo. Però ora ci sarebbe da risolvere questo impiccio brutto che le si era creato a Viterbo da prima – molto prima – che partisse per la nebbiosa Milano.
Si ricorda, ingegnere? Quella bega del rimpasto nella sua giunta. E, di converso, quegli scazzi all’interno della sua maggioranza. Le riepiloghiamo, brevemente – anche per non dare il colpo di grazia ai nostri lettori già agonizzanti – le ultime puntate.
Si era dimesso l’assessore ai Servizi sociali Fabrizio Fersini, per motivi di salute (forza Fabrizio, voto 8). Lei, sindaco, aveva preso tempo, come quel Quinto Fabio Massimo che chiamavano cunctator. Bene, il capo è lei. Poi però ci sono messe di mezzo le elezioni provinciali, la lista da lei (da lei? Siamo sicuri?) ispirata, la truppa dei moderati e riformisti che, già dal titolo, sembrava un po’ un ossimoro. Avete portato a Palazzo Gentili tre consiglieri, bravi bravissimi, peccato che poi, quando lei è tornato in Comune le se è scatenato l’inferno. Qualche civico incazzato, la metà – abbondante – del Pd in puzza, giustamente, e scene in consiglio che manco al Bagaglino dei tempi d’oro, voto 2. Due sue assessore – nessuna delle quali indimenticabile per ciò che ha fatto – hanno avuto la buona creanza di rassegnare le dimissioni, prima di venire travolte dalla furia iconoclasta che ogni rimpasto si porta dietro, da Stalin in poi, voto 1.5.
Ora, sono passati venti giorni. I ciliegi sono in fiore. Il tempo per diventare uomo, per farsi un bel viaggio intorno al mondo, per superare la fila allo sportello delle Poste, per trovare un parcheggio a piazza Crispi. Sono passati venti giorni e la soluzione di tutta la faccenda ancora non è stata ufficializzata, benché qualcuno giuri che lei, Michelini, l’abbia già trovata. Grazie alle sue riconosciute doti di mediatore, all’aplomb mitteleuropeo, al fatto che lei – che dio la benedica – non viene dalla politica ma fa (faceva) un altro mestiere. Però, se è vero che ha trovato la quadra, dovrebbe comunicarla a tutti. Ai suoi alleati. Alla sua opposizione. Soprattutto: al popolo bue, che lontano dalla stanza dei bottoni assiste alla manfrina sempre più sgomento. Prima la annuncia e meglio è. Per lei, per loro, per noi, per il genere umano. Dica: questo diventa assessore, questa delega passa a tizio, l’altra a caio, una terza l’abbiamo messa all’asta su Ebay. E tutto a posto. Ma non basterebbe, signor sindaco.
Perché insieme alle nuove disposizioni tattiche lei potrebbe dire anche qualche altra cosa. Per esempio quale sarà il programma della sua amministrazione nei prossimi tre anni. Magari correlandolo anche di date certe su quando sarà fatto questo o quel progetto, giusto per dare dei riferimenti ai suoi cittadini elettori. E ancora, ma sarebbe davvero spettacoloso se lo facesse davvero, lei potrebbe aggiungere qualcosaltro. Pubblicamente, senza filtri, per una volta chiaro e tondo (anche se da quel che ci risulta lo ha già fatto in modo privato, ma non è la stessa cosa). Potrebbe dire: “Da oggi in poi non sarò più disposto a tollerare ricatti o giochetti da parte di partiti o liste civiche. Io ci metto la faccia e io detto la linea. Non ho bisogno di padrini romani, né in Regione né alla Camera, né da Canepina né da strada Palomba. Lasciate perdere i pallottolieri e i manuali cencelli: facciamo tre anni a tutta, perché non solo ci giochiamo la riconferma, ma anche la dignità”. Se lei lo facesse cancellerebbe tutti gli alibi, i suoi e quelli della soldataglia che le sta intorno, e darebbe un segnale. Il sindaco è sempre più un uomo solo al comando – per responsabilità, per immagine, per dovere – ma può anche volgere questo onere in un vantaggio. Specie in questo pollaio che qualcuno, troppo generosamente, continua a definire “politica viterbese”. Ci provi, sindaco. E voto 7, d’incoraggiamento.