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Il “nostro” reggimento nella Grande Guerra

Il 60esimo fanteria aveva sede a piazza della Rocca e combattè con valore

La partenza del 60esimo reggimento per il fronte da Porta Fiorentina

La partenza del 60esimo reggimento per il fronte da Porta Fiorentina

Cento anni fa, oggi, i nostri ragazzi erano nella zona di Agordo, provincia di Belluno e mossero battaglia contro gli austriaci, come altre centinaia di migliaia di italiani facevano lungo tutto il fronte. In Veneto, in Trentino, in Friuli. L’anno di neutralità, di attese, di trame e trattative internazionali era finito, gli indugi rotti: l’Italia era entrata in guerra al fianco delle potenze della Triplice alleanza, dopo aver rotto con gli Imperi centrali, della quale era alleata sin dalla fine del secolo precedente.

I nostri ragazzi erano quelli del Sessantesimo reggimento fanteria. Di stanza sin dal 1907 nella caserma della Rocca Albornoz, in piazza della Rocca. Avevano già combattuto in Libia, nel ’12, sulla costa verso la Tunisia e poi nell’interno, contro la guerriglia delle tribù. Sempre fedeli al loro motto, “Forte come la morte”, anche sui campi di battaglia della Grande Guerra. La fanteria, l’arma più numerosa, più umile, eppure così fondamentale dentro e fuori le trincee.  Erano partiti per il fronte dopo la mobilitazione generale, il 15 maggio 1915, insieme ai commilitoni del 59esimo reggimento: insieme formavano la Brigata Calabria.

Il 2 agosto, nei bollettini, la prima azione vittoriosa, firmata dal secondo battaglione del 60esimo: la conquista del Panettone del Col di Lana, uno dei punti nevralgici che i due eserciti si contendevano, prendendolo e lasciandolo. Così fece il reggimento viterbese, costretto ad abbandonare la posizione e poi a riconquistarla, “eroicamente”, il 7 novembre. Ad aprile del 1916 la cima del Col di Lana fu fatta saltare da una mina. In luglio, l’azione del 60esimo si sposta a Cima Strada, scompigliando le fila nemiche: 200 furono i prigionieri austriaci catturati, ma il tributo di sangue dei viterbesi fu enorme, con mille perdite, di cui 45 tra i quadri degli ufficiali. Altre perdite, pesantissime, ad agosto.

Poi, nel novembre 1917, mentre il fronte era caduto a Caporetto e tutta la Nazione sembrava destinata alla resa, il reggimento viterbese fermò l’avanzata nemica sulla linea Osteria Monfenera – Monte Tomba, anche qui al prezzo di gravissime perdite. Nel giugno del ’18 un’altra disfatta, cedendo la prima linea sul Monte Grappa, ma mantiene valorosamente le seconde posizioni: morti, feriti e prigionieri non si contano, tra la truppa e gli ufficiali. Ma il tempo della riscossa è vicino, nella battaglia da Asiago al Piave i nostri sono fondamentali. Poi arriva Vittorio Veneto, e l’ora del trionfo nelle immortali parole del generale Armando Diaz: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”
Di quella guerra restano la medaglia d’argento a decorare la bandiera del reggimento, sciolto nel 1926 e la targa sulla facciata della caserma alla Rocca Albornoz.

Una cartolina del reggimento

Una cartolina del reggimento

“Molti viterbesi hanno combattuto in altri reggimenti – scrisse nel 1929 sul Bollettino Municipale Freddi Cavalletti – e in altre armi; e così solo il parte il 60esimo era costituito da elementi della nostra città e della nostra regione. Eppure noi lo chiamavano ‘il nostro reggimento’ non per la sola ragione accidentale della sua sede in tempo di pace, ma perché esso aveva respirato tra le mura ferrigne, tra i monumenti, tra la gente laboriosa e patriottica di Viterbo, perché lo vedevamo degno degli eroismi antichi del nostro popolo e del fervore nuovo. Il 60esimo portò in trincea l’artiglio e il ruggito del leone viterbese”. Cento anni fa, oggi.

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