Arrendiamoci, perché siamo circondati? Un corno. We shall never surrender, come direbbe il vecchio Winnie Churchill (voto 10). Arrendersi mai, voto 2. E però basta darsi una guardata in giro per rendersi conto che l’assedio c’è, e neanche le antiche mura della nostra città (voto 9, e chissà che fine hanno fatto tutti quei progetti di riqualificazione) ci salveranno. Allora: Lazio e Roma le conosciamo, sono realtà tanto grandi e si meritano – chi più e chi meno – la serie A. D’accordo, e bisogna anche considerare che la Capitale sta diventando una piccola Londra (voto 9), visto che l’anno prossimo, con Lupa Roma e Lupa Castelli, avrà quattro squadre tra i pro’
Ma Latina e Frosinone? I primi la serie A l’hanno sfiorata l’anno scorso, perduta soltanto all’ultimo tuffo contro il Cesena, ed è stata amarezza anche da queste parti, visto che le tifoserie sono gemellate e tante storie si sono intrecciate col pallone sull’asse Pontina-Cassia. I secondi in serie A potrebbero arrivarci tra qualche giorno, visto che sono secondi in serie B e manca soltanto un punto per scatenare la bolgia.
Latina e Frosinone, sì, proprio loro. Le compagne di sventura che hanno accompagnato per tanti anni la Viterbese nei campionati minori e che ora se la passano meglio della cugina di campagna. Per anni, a dirla tutta, i gialloblu erano la terza squadra della Regione (dopo Lazio e Roma): guardava tutti dall’alto, con un pizzico di snobismo provinciale, parecchio provinciale: voto 1. Poi i soldi dei vari Gaucci e Capucci sono finiti (o meglio: non c’erano mai stati, voto 0) e la festa pure.
Altrove, invece, hanno lavorato in silenzio e a fondo. Hanno trovato imprenditori seri, progetti a lunga scadenza, hanno coinvolto città e tifoseria, allargando i numeri. A Frosinone, dove il presidente è l’illuminato Maurizio Stirpe – capo anche di Unindustria Lazio – stanno facendo addirittura uno stadio nuovo, giusto in tempo per la serie A, ma anche per contenere l’entusiasmo canarino. I tempi in cui dalla curva del Rocchi partivano i cori irridenti (“Sai perché/tua sorella/viene a studiare da me”, voto 8.5) sembrano lontanissimi.
A Latina le collaborazioni con le grandi squadre hanno prodotto ottimi risultati, chiedete a Federico Viviani, voto 8, talento de Grotte di Castro, girato dalla Roma proprio ai nerazzurri di Littoria.
Già, Grotte di Castro. La patria dell’attuale proprietario della Viterbese, quel Piero Camilli al quale, da queste colonne, andrà sempre e per sempre un voto 10 e lode. Il Comandante rappresenta la possibilità concreta – in carne e ossa – che ha, avrebbe, il calcio viterbese per raggiungere le corregionali. Pierone ha già vinto, Pierone ha sfiorato la serie A col Grosseto (playoff col Livorno). Pierone, soprattutto, è l’unico dirigente calcistico di alto livello che questa terra abbia prodotto in duemila anni di storia, per stare stretti. Qui, però, entra in gioco la variabile impazzita del luogo comune (voto 2.5): del nessun profeta in patria.
Perché il problema è tutto intorno a Camilli. Per fare grande calcio ci vogliono sì grandi manager (e big bucks, grandi soldi), ma anche un ambiente predisposto. E per ambiente non si intendono i tifosi, che restano impagabili nella devozione, voto 9. S’intende il tessuto sociale, economico e soprattutto amministrativo del territorio. Che dovrebbe spalancare le rispettive porte di fronte ad un attore importante come Camilli. Nel senso: perché ci si sdilinquisce in salamelecchi vari davanti alla prospettiva di investitori stranieri per le terme (eventualmente, se si dovessero verificare quelle tre-quattromila coincidenze favorevoli nei prossimi settecento anni, voto 4) e non si usa lo stesso riguardo – o forse superiore – per un imprenditore viterbese che punta sul calcio? Misteri della fede, non calcistica.
Camilli chiede attenzione, i soldi ce li mette lui, e da Palazzo dei priori lo tengono a bagnomaria, e manco si capisce il perché. L’impressione è che in certe stanze del potere del calcio – e dello sport in generale – non freghi niente a nessuno. E attenzione, non è un retaggio della storica altezzosità della sinistra nei confronti del Sacro Giuoco del Balùn (voto 10). Concetti troppo elaborati, per le menti che amministrano questa città. No, questa semmai sembra tanto superficialità, pigrizia: “Che ci frega di quei quattro deficienti che amano il calcio”. Lo dimostra l’assenza di un assessore allo sport, affidato soltanto ad un consigliere delegato (il competente Sergio Insogna, che però potrebbe vedersi presto tolta la delega). Come dire: dei circenses ce ne freghiamo, per il panem vediamo quel che si può fare.
Col risultato che Camilli potrebbe lasciare la Viterbese e concentrare le sue forze altrove. E questo, nella stagione che vede i gialloblu chiudere il campionato al secondo posto, il migliore possibile in vista dei playoff che partono il 24 maggio. Il giorno in cui il Piave mormorava, si attendono segnali di vita da parte del Comune. Perché una Viterbese vincente converrebbe a tutti: bianchi, neri, rossi e soprattutto gialloblu. Voto 10.