Prima il dovere e poi il “piacere”. Giuseppe Fioroni era ieri mattina in via Caetani, a Roma, alla commemorazione dell’uccisione di Aldo Moro, c’era anche il presidente della Repubblica Mattarella. A pranzo, invece, l’ex ministro era già a Viterbo, per la riunione con i fedelissimi che Viterbopost vi ha anticipato ieri.
Un incontro conviviale, ma che è servito per fissare la strategia del nuovo Partito democratico viterbese. In prospettiva del rimpasto che avverrà nei prossimi giorni a Palazzo dei priori, certo, ma anche più a lungo termine, magari per rimodulare e rinforzare il progetto che, due anni fa, portò alla storica conquista del Comune capoluogo. Alla luce di ciò che è avvenuto negli ultimi giorni – con la vittoria dei fioroniani in Provincia e le scosse telluriche nella maggioranza comunale – c’è infatti da definire la linea.
Il discorso è chiaro: Fioroni vuole allargare la prospettiva ai moderati, sulle tracce di quello che anche Renzi ha fatto a livello nazionale. Pescare da un elettorato diverso da quello legato alla vecchia sinistra, un elettorato che nella Tuscia è numeroso e decisivo in qualsiasi consultazione. Dalla parte civica, il progetto è già avanti, con la costituzione di un gruppo che va da buona parte di Oltre le mura (esclusi Insogna e Moltoni) a Viva Viterbo fino a Treta e Moricoli e un domani forse anche a Taborri. Resta da sistemare proprio il Pd, che è spaccato in due tra la componente popolare fioroniana e quella panunziana, nella quale sono confluiti anche gli ex renziani. Una divisione che sta facendo traballare non poco la poltrona del sindaco.
Le intenzioni di Fioroni sono semplici, e anche in questo caso ricalcano le mosse di Renzi: nel partito si discute, ci si confronta, si vota una linea e ci si attiene a quella. Tutti compatti, tutti d’un sentimento, specialmente sui temi strategici (Bilancio, Terme, Cultura, Centro storico). E non è un caso che lo stesso Michelini, giovedì scorso, abbia usato contro le critiche del capogruppo democratico Serra la stessa, laconica frase usata dal premier in occasione del voto sull’Italicum: “Non vi sta bene? Sfiduciatemi”.
Già, Serra, il problema del momento. Per i moderati il cardiologo non rappresenterebbe in consiglio le volontà della maggioranza del partito. Al richiamo ufficiale del presidente dell’Unione comunale Calcagnini (fioroniano), si sono aggiunte un paio di battutine salaci: “Serra non s’è accorto che le primarie ci sono state due anni fa” e anche “Da renziano a panunziano per motivi personali”. Cattiverie, certo, ma che certificano il clima. Serra, dal canto suo, ieri ha rifiutato – con garbo – di parlare con i cronisti.
Per il momento, comunque, non c’è nessuna intenzione di chiedere la sostituzione del capogruppo, anche perché le epurazioni rischiano di essere controproducenti né appartengono alla cultura (che in nuce resta democristiana). Semmai, l’intenzione è quella di ribadire l’importanza dell’Unione comunale, dove si discute, si prende una decisione a maggioranza e poi la si mantiene in consiglio comunale. Anche in questo caso, il parallelismo con Renzi e con l’utilizzo che fa il segretario dell’assemblea nazionale del Pd è evidente. Chi è fuori dalla maggioranza (i D’Attorre o i Fassina della situazione) finisce automaticamente emarginato, se non addirittura si autoesclude, come Pippo Civati. Ma questo per il momento non è scenario viterbese, anche se potrebbe diventarlo di qui a breve.
Anche perché un eventuale protrarsi di questi atteggiamenti potrebbe portare alle dimissioni dello stesso Michelini. E a quel punto i responsabili del fallimento non potrebbero più nascondersi.