Chiamateli referendum, o petizioni popolari, ma il risultato non cambia: a Viterbo non si possono fare. Cioè, si potrebbero secondo la teoria (e lo statuto comunale) ma non la pratica, visto che manca il regolamento.
La denuncia arriva dal combattivo comitato Non ce la beviamo, che perora la causa dell’acqua pubbllica e libera dall’arsenico e che sta provando da un paio di mesi ad organizzare un referendum, appunto, sul tema. “Ma finora non abbiamo avuto risposte – dice Chiara Frontini – sbattendo su un vero e proprio muro di gomma, soprattutto da parte degli uffici comunali. Perciò abbiamo deciso di scrivere al prefetto per chiedere l’intervento della massima autorità di governo presente sul territorio”.
Ricapitolando: dal 1999 lo Statuto comunale prevede che si possa adottare la consultazione popolare. Però non esiste un regolamento attuativo su come procedere concretamente per il referendum. E le sollecitazioni della stessa Frontini e di Gianluca De Dominicis (consiglieri comunali rispettivamente di Viterbo2020 e Movimento Cinque stelle) sono state respinte da commissioni varie e dal consiglio comunale. “E pensare che il referendum è previsto non soltanto dallo statuto, ma anche dalla legge – nota De Dominicis – e sarebbe anche utile non solo per l’acqua, ma anche per altri temi d’attualità come il parco a Santa Barbara. Come Cinque Stelle abbiamo comunque deciso di raccogliere delle pre-adesioni in attesa che venga risolta la questione regolamentare: dopodiché andremo personalmente casa per casa a confermare chi ha già scritto. Raccoglieremo tante di quelle firme che sarà impossibile, a quel punto per il Comune, far finta di niente”.
La battaglia è appena iniziata: “Anche perché i cittadini hanno il diritto di pronunciarsi sul possibile ingresso delle multinazionali e dei privati in un settore vitale come quello idrico”, dice De Dominicis. Mentre Paola Celletti, altro esponente del comitato, invita a non dimenticare il problema arsenico: “Dai dati della Asl i livelli risultato superiori ai limiti in alcune zone della provincia e dello stesso capoluogo”.
Nella lettera al prefetto si ripercorrono tutte le tappe – e le bocciature delle proposte da parte di consiglio comunale e della prima commissione – e si denuncia il comportamento del Comune come “omissivo, illegittimo e lesivo dei diritti partecipativi dei cittadini e della democrazia costituzionale”.