E’ passato un secolo ormai. I sopravvissuti di quella immane tragedia che provocò milioni di morti se ne sono andati anch’essi, ma il rischio più concreto è che si perda pure la memoria storica della Grande Guerra, quel conflitto che agli inizi del secolo scorso ridisegnò i confini dell’Europa. Siccome, però, non si può e non si deve dimenticare, ecco un’iniziativa significativa con lo scopo non solo di tenere vivo il ricordo, ma soprattutto di spiegare che cosa accadde ai più giovani. Si tratta di una staffetta denominata “L’Esercito marciava”, partita lunedì scorso da Trapani e destinata a percorrere l’intero territorio nazionale, ripercorrendo i passi dei soldati della Prima guerra mondiale, chiamati a combattere sulla frontiera orientale. L’arrivo è previsto per sabato 24 a Trieste. La staffetta correrà giorno e notte senza mai fermarsi: è composta da 600 militari dell’Esercito italiano. La tappa viterbese è prevista per domani con una serie di iniziative: si comincia con una conferenza della dottoressa Rosanna De Marchi e del professor Marco Zappa prevista a mezzogiorno all’Itis Leonardo da Vinci; nel pomeriggio dalle 16 gazebo informativo in piazza della Rocca con testimonianze e fotografie anche inedite; l’arrivo dei tedofori è previsto, sempre nella stessa location, intorno alle 19.
Viterbo non fu direttamente interessata da quegli eventi bellici, come invece accadde in occasione della Seconda guerra mondiale, ma dette ugualmente un contributo consistente allo sforzo che l’Italia intera produsse. “Sono complessivamente 624 – ricorda Rosanna De Marchi, che ha effettuato una serie di ricerche presso l’Archivio di Stato – i caduti di Viterbo e delle sue frazioni (San Martino, Grotte Santo Stefano e soprattutto Bagnaia) nella Grande Guerra. Un numero consistente, al quale vano aggiunti i tanti superstiti che però tornarono a casa non solo con i segni addosso delle ferite riportate nei combattenti, ma in molti casi anche con malattie contratte nel conflitto, dovute nella maggior parte dei casi all’inalazione di gas venefici”.
Ma Viterbo fu anche la città in cui furono portati alcuni prigionieri dell’esercito austro-ungarico. “Esattamente furono 61 – aggiunge la dottoressa De Marchi – e furono divisi in gruppi: alcuni li tennero sui monti Cimini, la maggior parte fu rinchiusa nella zona del Cunicchio presso la chiesa di Santa Maria delle Rose. Li impiegavano in lavori pesanti, soprattutto stradali: molti si ammalarono e morirono negli ospedali di Roma. Nel nostro cimitero, c’è una zona con le tombe di questi soldati, dei quali però si conosce solo il nome perché sulle piastrine di riconoscimento (che erano scritte a mano), molti dati anagrafici erano andati distrutti, per la precisione cancellati”.
In occasione dell’incontro con gli studenti dell’Itis, saranno proiettati filmati e fotografie. “Ma il materiale è immenso – conclude Rosanna De Marchi – ed è stato impossibile catalogarlo tutto. Ho ritrovato ad esempio una toccante lettera che il futuro papa Giovanni XXIII, soldato al fronte, scrisse alla sua famiglia ed ho scoperto pure che per padre Pio la guerra durò poco: era malato. Insomma un enorme patrimonio storico che è nostro dovere far conoscere, soprattutto ai ragazzi. Informare è la maniera migliore per non dimenticare”.