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Fiori per la sconosciuta uccisa dai nazisti

Il 7 giugno l'Auser a piazzale Gramsci nel luogo dove furono trucidati 3 viterbesi

La lapide a piazzale Gramsci

La lapide a piazzale Gramsci

Otto giugno 1944. “Tutta la città viveva nell’attesa angosciosa di quello che avrebbero deciso i nazisti: la resistenza o la ritirata”, come scrisse il grande Sandro Vismara. Optarono per ritirarsi, ma non senza infierire sui viterbesi, già stremati da quattro anni di guerra, gli ultimi due drammatici, tra bombardamenti e occupazione tedesca. Un episodio accadde a piazzale Gramsci, lungo le mura, nel tratto dove avevano sede le autolinee Garbini, già duramente colpite dalle bombe alleate nei mesi precedenti. Qui furono giustiziate tre persone: Giacomo Pollastrelli, Oreste Telli e “una donna rimasta sconosciuta”, come recita oggi la lapide, su un masso di travertino, posta a memoria di quell’eccidio.

Perché furono uccisi? Magari, come racconta lo stesso Vismara nel suo Cara Viterbo perché “volevamo impedire ai soldati di saccheggiare le proprie case”. Magari per caso. Magari per la frustrazione di un esercito ormai battuto e rassegnato a ritirarsi a nord, spinto dall’avanzata degli alleati, che dopo aver liberato Roma (il 4 giugno) premevano lungo le direttrici settentrionali. Oppure i tre furono passati per le armi soltanto per obbedire ad una legge tremenda della guerra: la rappresaglia, che poi non è così diversa dal terrorismo.

C’è quella lapida a ricordare il loro sacrificio. E’ messa lì, dove una volta c’era il tabaccaio, e l’edicola, e dove fermano gli autobus. Centinaia e centinaia di persone – studenti, abitanti della provincia, viaggiatori comuni – la vedono ogni giorno. Magari non ci fanno neanche caso. Magari non si chiedono chi fosse quella “donna sconosciuta” barbaramente finita dai proiettili germanici. Una vittima senza nome, una delle migliaia di quella – e di tute – le guerre. La femmina ignota, simbolo di tutti i morti dei conflitti.

Un'immagine di un bombardamento su Viterbo

Un’immagine di un bombardamento su Viterbo

Domenica 7 giugno, a 71 anni dal fatto, i volontari dell’Auser (Associazione per l’invecchiamento attivo) hanno deciso di ricordarlo: “L’idea – spiegano dalla sezione di Viterbo – nasce dalla sensibilità di un nostro volontario, Raimondo, che passeggiando ha notato la lapide di travertino. La particolarità che salta subito agli occhi è che i nomi di due uomini, sono chiari, mentre quello della donna no. Dunque la storia non solo le ha tolto la vita, ma anche la sua individualità, privandola del suo stesso nome. Il minimo che possiamo fare oggi, è ricordarla e renderle omaggio, attraverso alcune letture e la deposizione di una composizione di fiori”. Un piccolo grande gesto per una vittima dimenticata, l’ultima della guerra combattuta a Viterbo.

Nella notte tra l’8 e il 9 giugno, infatti, i viterbesi lasciarono la città e s’avviarono lungo la Cassia, a nord. Quel giorno, il 9, una jeep entrò in città da Porta Romana e si fermò in piazza del Plebiscito, davanti alla Prefettura. Ne scesero un capitano inglese di Scotland Yard, John Kane, e un sergente italoamericano, Anthony Lancione. Scrive ancora Vismara: “I viterbesi che, con negli occhi ancora l’orrore dei bombardamenti, tornavano la mattina del 9 giugno alle loro case, non pensavano al passato, ma al futuro”.

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