Se ne era già parlato in passato (l’anno scorso in particolare). Ma poi, come spesso accade, non se ne era fatto nulla: antiche rivalità, contrasti (insanabili?), voglia di primeggiare a tutti i costi. Insomma tutte quelle cosette che nello sport dovrebbero trovare poco spazio e che invece a Viterbo (come in ogni altra latitudine) alla fine hanno il sopravvento. Se ne torna a parlare anche in queste settimane. E se il basket viterbese tutto (quello maschile e quello femminile) trovasse la maniera per mettere da parte gli egoismi e i particolarismi e desse vita ad un progetto comune? Non è una novità, ovvio, ma stavolta anche sulla scorta delle esperienze recentissime (la cancellazione della Fortitudo dal campionato di serie C è ancora ferita aperta e sanguinante) il progetto sembra camminare su gambe un po’ più solide.
I lati positivi sarebbero parecchi e non ci sarebbe neppure bisogno di elencarli perché sono sotto gli occhi di tutti. Innanzitutto, il lato economico che di questi tempi è tutt’altro che secondario. Mettere in sinergia le forze è motore di risparmio. Tanto per dire, magari lo stesso coach potrebbe allenare gli allievi di due squadre differenti. Che cosa ci sarebbe di strano o di male? Si risparmierebbe uno stipendio (pardon, rimborso spese) con risultati simili. E che dire della possibilità di utilizzare i giocatori di un’altra società? Sempre per dire, la Belloni (serie D maschile) potrebbe attingere senza particolari difficoltà tra gli under della Stella Azzurra (serie B maschile) come peraltro è già avvenuto nella stagione appena conclusa. E consistenti economie si potrebbero concretizzare nelle spese per l’affitto dei campi di allenamento. Tutte cosucce che pesano e non poco nei bilanci, sempre asfittici, delle varie società.
Vale la pena provarci con serietà e senza paraocchi. Già perché la prima (e forse unica) controindicazione è rappresentata proprio dalle beghe decennali e personali che tanti dirigenti si portano dietro. Messi finalmente da parte tutti questi inutili appesantimenti, si potrebbe cominciare a ragionare sul concreto. Perché questa è gente che, comunque, ha la palla a spicchi nel sangue.
Qui non si tratta di fondersi e/o di perdere la propria identità e la propria storia: ogni club continuerebbe a chiamarsi col suo nome, disputerebbe il torneo di competenza, ma magari invece di 3-4 squadre di juniores, ce ne sarebbe una sola capace però di fare la voce grossa dappertutto. E un ragazzo di buone qualità e di fondate prospettive non avrebbe bisogno di andare a farsi le ossa altrove, perché invece potrebbe giocare con continuità in un campionato tosto e qualificante come la serie B. Concetti e ipotesi che però hanno bisogno di concreti passi avanti: alla fine, continuando a curare soltanto il proprio orticello, si rischia solo di non vederlo fiorire.