Domenica c’è il Rieti ospite, viene a sfidare la Stella Azzurra e torna al PalaMalè, per la prima volta dai tempi in cui non si chiamava ancora così, da un’epoca in cui la rivalità non era fatta di insulti via internet e di cori razzisti, ma di semplici ragioni di campanile e di sofisticatissime discussioni tecniche (“Semo più forti di voi”).
Metà anni Novanta. Era la primavera delle nostre illusioni. Quando la Viterbo dei canestri – già grande a livello femminile – sperava di poter fare meraviglie anche tra i maschietti. E mentre le ragazze della Sisv lasciavano la serie A1 e chiudevano bottega, i peccatori e i sognatori si andarono a rifugiare nella Libertas, la realtà emergente del basket cittadino. Dirigenti illuminati (due su tutti: Primo Michelini e in un secondo momento il grande Enzo Colonna), sponsor munifici, Sda prima e Hidra poi, tifosi affamati di rivincite: così nacque e decollò il progetto. E così scoprimmo quelli là, eredi di una tradizione vittoriosa, con le coppe europee e i giganti americani, i tremila urlanti nel PalaLoniano che oggi proprio ad uno di quegli dei – Willie Sojourner – è intitolato. Questo era stato Rieti, e poco importa se, quando la Libertas lo incontrò per la prima volta, stagione 1995, stesse vivendo una fase incerta, di ricostruzione e rilancio.
All’inizio furono sconfitte, smusate. Anche nell’anno successivo, quello che per Viterbo si concluse con lo spareggio per andare in serie A, perso in maniera allucinante contro il Livorno (altra nobile che ripartiva) di Fantozzi e dei Gigena. Era destino, che quell’Hidra bellissima messa su da Gigi Satolli e dalla sua zona che era un’orchestra, perdesse entrambi i derby: prima al PalaMalè, con il sabino Marco Lokar che infilò 7 triple in un tempo (perché ancora c’erano due tempi da venti minuti) e al ritorno sulla sirena, con un’altra bomba, stavolta di Andrea Spinetti, spietato a fucilare i tifosi provenienti dalla Tuscia, quelli che l’estate precedente l’avevano acclamato durante i Mondiali militari. Storie di uomini (Vandoni, Masini, Tedeschi, Tirelli, Santachiara) e di trasferte epiche, come l’anno successivo, con la Libertas che dominò la stagione regolare, quasi un percorso netto, e andò a vincere pure alle falde del Terminillo (30 punti di Meleo, 10 assist di un superbo Stefano Sbarra), sostenuta da duecento tifosi col cappellino gialloblu. Che uscirono a notte fonda, dal PalaLoniano, e fu un viaggio di ritorno inebriante, non solo per le bottiglie di Martini che giravano sul bus.
Ancora: le coreografie imponenti, i mille tifosi reatini che presero d’assalto il PalaCimini, gli striscioni (“Il ratto lo dice: sabina meretrice”), le gesta eroiche. Fino a quell’ultimo derby, al voltare del millennio, con la povera Libertas in smobilitazione (Colonna vendette il titolo a Cagliari dopo i playout e la salvezza comunque conquistata) e Rieti pronta a tornare grande. Sconfitta all’andata al PalaMalè e poi al ritorno, all’ultima giornata, con Alessandro Angeli che esce stremato, naso rotto, ma senza abbassare la testa.
La storia di una rivalità acre e impossibile, tra la città che aveva ospitato nei suoi playground anche un giovane Kobe Bryant, e la cugina che sognava in grande, non era finita lì. Era solo sospesa, ibernata, e domenica al PalaMalè il testimone passa alla Stella Azzurra e alla Npc. Che siano degne di questo onore, be’, è una speranza piena di nostalgia di un basket e di un mondo che non ci sono più.