Il progetto è di quelli catalogati sotto la lettera “N”. Guardare alla voce “nicchia”. E poi passare alla “i” per “nicchia intelligente”. Torna a Viterbo il Tuscia in jazz spring, dal prossimo 2 aprile. E grazie a dio che qualcuno (non tutti, ma molti si sono poi allineati) ha creduto nelle promesse del direttore artistico Italo Leali. Saggia decisione.
Il Tuscia in jazz rappresenta infatti una delle pochissime (forse l’unica) manifestazioni che, nonostante costino due spicci, porta enormi risultati alla provincia intera. Ora, per due spicci si intendono i contributi versati dalle casse comunali. Perché in realtà il contenitore non è poi così poco esoso. Ma un’abile maestria nel saper amministrare liquidità, pescare sponsor affidabili e programmare con concretezza, permette (ora, e dopo anni di cinghie strette) di conferire alla banda Leali (non Fausto) un attestato di eccellenza pura. Tant’è che anche la Commissione europea e il Mibact se ne sono accorti. Medaglietta d’onore e spazio assicurato su VeryBello. Che non sarà il portale col nome più intonato del mondo, ma resta comunque un’ampia vetrina nazionale. Leggi: promozione di dentro a Expo (ammesso che si faccia Expo, ma questo è un altro discorso).
Torniamo invece al dietro le quinte. “Mi sono sempre affidato a chi lavora bene, scegliendo persone del luogo – dice proprio il direttore – vedi Luca Ciccioni, fronte comunicazione e immagine, nonché Mirko Gerunzi, lato direzione tecnica. Mi sono completamente fidato di loro, in realtà. Perché ognuno deve fare il suo. La mossa è stata vincente. Penso ai sacrifici per acquistare amplificazione, cablaggi e materiale vario. Oggi ci si può permettere di non affittarli, anzi, magari sono altri a chiederceli. E poi, basta guardare il programma, di viterbesi ce ne stanno tanti…”.
E in effetti il cartellone è gonfio di autoctoni. O, nella peggiore delle, di talenti importati. Gente che qua beato chi la conosce, e poi te la ritrovi magari a dirigere l’orchestra filarmonica più importante della capitale.
Altro lato interessante della rassegna (piuttosto, si tira avanti fino a Pasquetta): la fusione di generi. Ossia, dopo il battesimo nel capoluogo del 2014, la cricca ha pensato di allargare i confini. “Si va incontro a quanto richiesto da un pubblico esigente e attento come quello del jazz – sempre Leali – nella solo prima giornata si attacca con la Bohème di Arrighini e con l’electro-jazz degli austriaci Hi5. Poi, a ruota, poesia, danza, ed altre espressioni artistiche”.
Ma non solo, se infatti si deve parlare di indotto (non esclusivamente economico, ma anche pubblicitario e turistico) ecco i seminari. Sui quali Leali si esprime come “profondamente compiaciuto per riuscire a portare in città oltre 120 ragazzi da tutta Europa”. Gente che però, conti alla mano, mangerà, girerà, acquisterà, scatterà foto, seguirà i professori (che sono tanti anche loro), e perché no si farà accompagnare dai genitori. Un anno fa non si trovava una camera manco a cercarla col lanternino, tanto per rendere l’idea.
Ecco quindi che la scaletta dei big di per sè, seppur pienamente appetibile, non rappresenta l’arrivo ma l’inizio di un processo. E comunque, per quanti ne volessero sapere di più, ecco i nomi degli artisti principali: Fabrizio Bosso, Enzo Pietropaoli, Rita Marcotulli, Rosario Giuliani, Aldo Bassi, Elisabetta Antonini. Star internazionali come Kurt Rosenwinkel, cui Down Beat la leggendaria rivista di musica ha dedicato la copertina, Aaron Parks, Orlando Le Fleming e Allan Mednard. Impegnati, ciliegina di chiusura, nei luoghi più caratteristici della città. Piuttosto, per chi non se lo volesse perdere manco uno, il passe-partout costa il 50% in meno dei singoli ticket.
Bentornato, Tuscia in jazz.