Il Tuscia in jazz spring raccontato in quattro storie brevi raccolte venerdì, nella seconda serata dell’evento che si concluderà lunedì. E buona Pasqua.
British humor
La sera del concerto di Bosso uno dei primi ad arrivare (puntualissimo, non conoscendo la classica mezz’ora accademica italiana) è Adam Taylor. Ventiquattro anni, riga da una parte tirata dal geometra del Comune, chitarrista. La sua permanenza a Viterbo è legata ai seminari mattutini, in primis, e poi agli eventi serali. È uno dei quasi centotrenta ragazzi che per cinque giorni si vive la città. Tra studio, relax e foto di rito. “Mi piace qui – racconta a Viterbopost, in una lingua coniata per l’occasione – forse un giorno ci verrò ad abitare. Anche se mi dicono che ci stanno tantissimi musicisti, e pochi posti dove suonare. Esattamente come da me, ad Oxford. Ma almeno voi mangiate meglio ed il tempo è bello. Forse finirò ad Amsterdam, chissà, forse a Barcellona. Ma pure Viterbo ha il suo perché”.
Adam è al suo secondo anno da queste parti, dopo aver ottenuto la scorsa estate un prestigioso riconoscimento a Bagnoregio. “Anche Bagnoregio è come Oxford – sempre lui – pieno di giapponesi. So che ci passano per visitare Civita. Fantastica. Pure noi siamo invasi dagli orientali, interessati ai luoghi di Harry Potter. Ma Civita rimane più bella”. Grazie per l’informazione.
Bosso, beato chi t’ha inventato
Al San Leonardo sbarca Fabrizio Bosso. Il dio della tromba, per chi non lo sapesse. Ed improvvisamente Viterbo si anima di cultura, senso civico e discussioni fiche. Come se fossero scesi gli alieni con tanto di pozione magica. Il teatro è pieno, o quasi. Dentro ci stanno almeno trecento persone. Un’ora e mezza di performance, insieme a sua maestà signore dell’Hammond Alberto Marsico e a Alessandro sette-mani Minetto alla batteria. Un progetto spiritual-jazz collaudato scalda la folla. A chiusura il capanno dei cd viene preso d’assalto. E qualcuno se la ride, ripensando a quante volte quella struttura ha ospitato gente, anche più nota (e quindi più pagata), che nessuno è andato a vedere…
Il direttore incompreso
Italo Leali, ma per tutti Italo e basta, al massimo Italozzo, è il direttore del Tuscia in jazz. Da oltre dieci anni porta in zona il meglio del panorama musicale più prestigioso che ci sia. In occasione di questa rassegna, denominata spring, gli alberghi del capoluogo sono pieni (e non è una novità). Dentro ai siti preposti allo spartito si trova un botto di gente e quasi tutta proveniente da lontano. In due sere il contenitore ha fatto quasi 1500 paganti. Ma nessuno se lo fila, a Italozzo. Anzi, qualcuno sì. Dopo tutto questo sudare e investire infatti è finito in prima pagina. Poiché tre cileni, mentre lui corre come un pazzo per Viterbo, hanno provato e riprovato a svaligiargli l’ufficio. Li hanno beccati. E la notizia ha fatto notizia. Meno del Tuscia in jazz, però. Chissà perché? “Io so solo che vorrei fare gratis tutti i concerti – dice dal palco – ma coi soldi che ci danno è un lusso che li facciamo pagare così poco”. Amen.
Il bimbo prodigio
Emanuele Bertelli ha tredici (sì, 13) anni, e canta che manco Freddy Mercury. Pure lui è un seminarista venuto a Viterbo. Ma dopo due giorni di permanenza ha dovuto salutare gli altri. “Mi hanno chiamato in Bulgaria per una serata – racconta – debbo andare a cantare lontano. Mi dispiace, ma vi saluto con anticipo”. Il tutto enunciato con una naturalezza sconcertante che può appartenere solo a un bimbo. Di altra opinione è invece Paolo Moricoli, consigliere boy-scout di casa, nonché padre putativo e a tempo del fanciullo. “Segnatevi questo nome – spiega – diventerà famosissimo. È una voce incredibile, lo era già quando venne al mio Minifestival”. I docenti, anche se per poco tempo, lo hanno coperto di complimenti. Giurebbero in toto che c’ha un ugola d’oro, e pure al piano se la cava alla grande. Ma poco importa. “Carina Viterbo – chiude Emanuele – è come Catania, la mia città, solo un po’ più vecchia. E forza Sicilia”. Beata gioventù.