Che fine avevano fatto, gli sfascisti della cultura? Rifugiati in qualche isola deserta (Alcatraz, voto 8, Robben Island, voto 4)? Rinchiusi in un campo di “rieducazione” nordcoreano, dove magari si troverebbero anche benissimo per affinità ideologiche? Inquadrati in una setta segreta radical chic dove ci si saluta in modo strano, si mangiano ostriche (voto 10) e si sorseggia chinotto (voto 5.5)? Mannò, gli sfascisti erano qui, tra di noi: aspettavano soltanto il momento propizio per tornare a scassare i cabasisi al prossimo, per sfasciare, appunto. Certo, non sono più i giaguari di una volta: spelacchiati, demotivati, spazzati via dalla (sacrosanta) rivoluzione iniziata da Barelli e perfezionata da quel volpino di Delli Iaconi poi, all’assessorato alla Cultura. Qualcuno di loro ha mollato, ed è stato costretto persino a trovarsi un lavoro (cioè, addirittura un lavoro) onesto. Qualcuno si è rassegnato a fare le cose senza i contributi pubblici, secondo le leggi che regolano il mercato. Altri ancora invece non mollano, simpatici picchiatelli che combattono dalla loro ridotta una battaglia persa e strapersa.
Quale migliore occasione, per i pipparoli in questione (con tutto il rispetto della masturbazione, arte nobilissima, voto 7), della candidatura di Viterbo a capitale italiana della cultura? Una manna dal cielo, tanto che è facile immaginarli con la bava alla bocca, pronti ad azionare il bottone dell’autodistruzione a tentare di rovinare la festa, strumentalizzati dai soliti politici furbetti e forti di “solidissimi” argomenti. Che qui, naturalmente, vi risparmiamo anche per evitare di fare propaganda al pensiero debole, anzi debolissimo, dei nostri eroi. (Solo un esempio, piccolo piccolo: “Non possiamo candidarci a capitale della cultura quando non abbiamo le strade e la ferrovia”. Già, e il buco dell’ozono non lo consideriamo?)
Meglio parlare di altro. Di quanto sia cambiata la città dai tempi del marchettificio (voto 0), e naturalmente in meglio. Di quanto la nuova rotta della gestione della cultura sia servita per creare terreno fertile per questa candidatura. Di quanto sarebbe stato ridicolo anche solo immaginarsi “capitale italiana della cultura” grazie alle trasmissioni radiofoniche da strapaese, alle corse delle befane e alla gara di rutti in aramaico antico (voto 6). Di quanto, soprattutto, la politica dei grandi eventi (San Pellegrino in fiore, Sacro e profano), dei grandi festival (Caffeina, Tuscia film fest, Tuscia Opera festival, Tuscia in jazz, Medioera, Antiquaria) abbia pagato in termini concreti. Del lavoro straordinario compiuto intorno alla Macchina di Santa Rosa, a parte il pasticciaccio coi Facchini, che resta una ferita aperta.
Se oggi Viterbo può giocarsi le sue carte con città molto più grandi (Taranto), economicamente più forti (Como), culturalmente più quotate (Spoleto) è merito del vento che è cambiato. E che ha seppellito per sempre gli sfascisti. Anche alla faccia loro, alla loro memoria, sarebbe bello diventare capitale. Voto 10, e crediamoci.