Il no è unanime, sia pure con motivazioni e mezzi di contrasto differenti. I 33 comuni (31 nella Tuscia, 2 in provincia di Roma) destinatari della lettera con cui la Regione Lazio intima di cedere il servizio idrico integrato a Talete non hanno alcuna voglia di farlo. E non lo faranno fino a quando non saranno costretti con la forza. Intanto si attrezzano per resistere. A Gradoli hanno scritto una lettera di contestazione,rilevando che la missiva è firmata da un funzionario e/o dirigente e non da un organo politico; a Vitorchiano il consiglio comunale all’unanimità ha deliberato di opporsi. E dunque non è difficile prevedere ricorsi al Tar, contestazioni, lungaggini e macchinosità burocratiche.
A Fabrica di Roma il meetup Cinquestelle sceglie un’altra strada: non solo informare i cittadini di quanto accadrebbe con l’ingresso in talete, ma anche a breve una raccolta di firme per fare in modo che sia rispettata la volontà popolare espressa a larghissima maggioranza con il referendum del 2011 nel quale il 90% dei votanti disse no alla privatizzazione dell’acqua e ai profitti sulla gestione del servizio idrico. ” Dunque – sottolineano i Cinquestelle – questa comunità e le amministrazioni che l’hanno rappresentata e la rappresentano si sono sempre rifiutate di cedere la gestione ad altri enti. Anche l’attuale amministrazione Scarnati, in carica dal 2011, non vuole in nessun modo entrare in Talete e si sta adoperando in tutte le sedi preposte affinché ciò non avvenga. Tuttavia tra poco tempo la gestione in proprio del bene acqua non sarà più possibile nell’intero territorio italiano. Il recente Decreto Legge del Governo Renzi, meglio conosciuto come ‘sblocca Italia’, in forza dell’articolo 7, impone a tutti i Municipi di cedere gratuitamente le reti idriche alle aziende che già gestiscono il 25% del territorio (per il Lazio, Acea) e fanno profitti a discapito dei servizi e delle famiglie. A metà marzo 2015 la Regione ha eseguito il mandato governativo e ha fatto arrivare sulle scrivanie dei sindaci italiani una lettera che obbliga gli enti comunali a cedere la gestione delle reti ai gestori unici. Ecco come in un modo forzoso, da vera e propria dittatura, si scippa alle comunità il bene acqua”.
“Nonostante le minacce – si legge ancora in una nota – il sindaco del Comune di Fabrica di Roma ha dichiarato pubblicamente di voler contrastare con tutti i mezzi legali il provvedimento governativo. Con il servizio comunale, i fabrichesi pagano 1 metrocubo di acqua circa 50 centesimi; qualora, come si profila, il servizio idrico passerà con la Talete, il costo medio dello stesso metrocubo arriverà a circa 1,40 euro. Di fatto le bollette triplicheranno e i cittadini continueranno a prendere l’acqua nelle casette. A parità di consumi, se una famiglia per il 2014 ha pagato una bolletta di 200 euro, rischia di pagarne 600 per il 2015. Le bollette verranno recapitate ogni trimestre, comprensive di fasce di consumo, e ai morosi si applicherà il distacco dalla rete idrica, ossia la chiusura forzosa dei rubinetti. Il M5S nazionale, regionale e provinciale, insieme ai Comitati Acqua Bene Comune, sta organizzando una risposta delle comunità minacciate dall’esproprio di acqua. A Fabrica di Roma il meetup Cinquestelle, insieme ai cittadini e in modo complementare all’amministrazione pubblica, sta preparando delle iniziative di resistenza al furto d’acqua”.
Già, ma come avverrà questa resistenza? “Un anno fa – concludono i pentastellati fabrichesi – la Regione Lazio votò unanimemente un provvedimento legislativo (n.5/2014) che rompe tutti gli odierni sistemi gestionali privatistici, sottraendo l’acqua alle leggi di mercato. Detta legge esplica chiaramente che la gestione dell’acqua deve essere pubblica e amministrata dalle comunità. Quindi, almeno nel Lazio, uno strumento legale per impedire l’esproprio e il furto d’acqua esiste. Noi del M5S abbiamo incominciato ad informare i cittadini, in modo da invocare e pretendere che la legge n.5/2014 sia attuata e rispettata. Presto cominceremo una raccolta firme per ribadire la volontà popolare espressa dal referendum del 2011. Non è accettabile aumentare l’acqua per esigenze di mercato”.