Il 68,7% dei rapporti di lavoro attivati durante il 2014 sono contratti a termine, mentre l’aumento delle attivazioni che si è avuto è dovuto solo in minima parte a contratti stabili (circa 20mila in più). Tutto questo, grazie alle scelte del Governo che, attraverso il decreto Poletti, ha incentivato le imprese a scegliere la strada del lavoro temporaneo.Cioè sulla base dei dati Uil riguardanti le comunicazioni obbligatorie, un atto che le aziende devono compiere a ogni attivazione o cessazione di un rapporto di lavoro. L’analisi mette a confronto i dati dal 2009 al 2014 approfondendo sia come si assume (a tempo indeterminato, determinato, collaborazioni, altre tipologie), sia come si licenzia o si cessa un rapporto di lavoro.
L’incidenza annuale dei contratti stabili (tempo indeterminato e apprendistato) continua inesorabilmente a scendere toccando il minimo storico del 18,8% (nel 2009 era del 24,6%). Impressiona e preoccupa la variazione dei rapporti di lavoro stabili avviati che, in termini assoluti, passano dai 2,4 milioni del 2009 ai circa 1,9 milioni del 2014 (- 22,2 %). Il lavoro debole e temporaneo, di contro, cresce in termini assoluti e per incidenza rispetto alle attivazioni annuali (81,2 % contro il 75,4 % del 2009) con una tenuta, preoccupante, delle collaborazioni a progetto che nel 2014 rimangono stabili rispetto al 2013.
Ma i dati che più preoccupanosono quelli che si riferiscono alle cessazioni (9.973.246): in aumento nel 2014, rispetto al 2013, di oltre 158.000; oltre 900.000 riguardano licenziamenti decisi dall’azienda (anche con l’articolo 18) e le vittime principali sono coloro che sono stati chiamati con un lavoro a termine (7.788.077)”.
Come ha sostenuto anche il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy analizzando questi dati, come ci sia una quasi automatica corrispondenza tra le innovazioni legislative e le modalità con le quali le imprese assumono (come l’ ‘effetto spinta’ dell’introduzione dell’acausalità per il contratto a termine e la forte riduzione delle collaborazioni a progetto non del tutto genuine e del lavoro intermittente quale effetto di regole dissuasive come quelle inserite nella legge 92, Fornero). C’è, comunque, altrettanta corrispondenza tra la quantità di lavoro richiesto dalle aziende e l’andamento della economia: zero. In sostanza, come ha rilevato Loy, continuare a ignorare che è la crescita che crea buona occupazione non permetterà di far crescere quest’ultima, semmai si redistribuirà quella poca che c’è in mancanza, soprattutto, di vere e buone politiche attive del lavoro.