Le cinque e mezzo di pomeriggio, si alzano le serrande, s’accendono le luci: Schenardi, il gran caffè nostro, riapre dopo un anno e mezzo di morte cerebrale, laddove i cervelli erano quelli dei viterbesi (imprenditori e amministratori) che non erano riusciti a tenerlo in vita. Saracinesca giù e saracinesca su, eccola la differenza in questo pomeriggio di tramontana, e scusate se è poco: in un Corso deserto dove gli unici segnali di vita provengono dal ballerino gojo che zompa a ritmo sull’angolo di piazza delle Erbe, e dal vecchio Agostino Garberoli che una volta andava a mille all’ora e che adesso invece sfiora la strage puntando con la sua Panda verdolina la fila che aspetta di entrare.
Già, dentro. Quando si supera la selezione – ieri si entrava solo ad invito – ci si accorge che il vecchio, caro posto non è cambiato. Ripulito, restaurato con tecniche sofisticatissime, ma intatto nel suo splendore a metà tra liberty e neoclassico. Laddove le nuove, spettacolose macchine da caffé della Illy (che serviranno anche per l’accademia del caffè) riescono ad incastrarsi alle perfezione tra le colonne e i capitelli, gli specchi opachi e gli ottoni. Il personale scatta e saluta, ne hanno assunti una trentina (vedi alla voce: crescita dell’occupazione), e porta vassoi di cocktail e bollicine, tartine e salumi tipici. A chi entra viene consegnato anche un pacco di caffè e una tazzina griffati Expo. Le telecamere del National Geographic riprendono tutto per la prima di una serie di documentari sui caffè storici e chiedono ai fotografi di non usare il flash, per non incasinare le luci.
Dentro, ancora. C’è l’umanità più varia e colorita. La politica di dritta (esclusi quelli di Forza Italia, impegnati all’hotel Salus con un altro evento spassosissimo: il convegno con Gasparri) e quella di tribordo. Nomi e facce ve li risparmiamo, anche perché li racconta benissimo Flavia Ludovisi nel suo Stile viterbicolo. Ci sono le autorità civili e militari, come si diceva una volta, molte delle quali talmente sciolte da farsi lasciare dall’auto di servizio proprio davanti all’entrata: un’emergenza talmente “urgente” da giustificare la violazione della zona a traffico limitato. O magari sono le classiche esigenze di sicurezza che fanno usare l’elicottero al premier Renzi.
L’organizzazione è impeccabile, musica e compresa. Poi, nel giardino d’inverno, parlano Primo Panaccia (l’imprenditore che ha riaperto Schenardi, con tutto il coraggio che su queste colonne abbiamo già raccontato) e il sindaco Michelini. Il primo, Primo, ha ricordato i trascorsi culturali e l’importanza del posto anche nello sviluppo della società viterbese, il secondo ha rivendicato la riapertura del gran caffè – insieme a quella del museo civico e all’imminente del teatro Unione – come tappa fondamentale per riportare alla vita il centro storico.
E alla fine si esce fuori, col Corso sempre deserto, e la consapevolezza che per rianimare il centro Schenardi, da solo, non può e non deve bastare. Ma che rappresenta comunque un eccellente punto di partenza, una testa di ponte, come avrebbe detto il generale Patton. E mentre si va via, e qualcuno senza invito viene respinto – con la massima educazione, per carità – dalle dolcissime hostess al varco (prego chiamare 349.8294…), viene da pensare che i viterbesi si riabitueranno presto alla riapertura dl loro caffè, così come si erano abituati a vederlo chiuso. Questione di routine.
Già da oggi saranno in molti ad entrare per un espresso, e domani di più, e ancora domenica con la festa che interesserà anche le vie intorno. Bentornato, Schenardi: mi faccia un 103, bello forte, per un brindisi come si deve in occasioni del genere. Cin.