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E’ una figuraccia presidenziale

A vuoto il consiglio per eleggere il nuovo presidente: è crisi

Il segretario generale Vichi mentre fa l'appello in un'aula quasi deserta

Il segretario generale Vichi mentre fa l’appello in un’aula quasi deserta

Ore 16.11, quarantuno minuti dopo l’orario di convocazione: il segretario comunale Francesca Vichi fa l’appello. In maggioranza, presente solo Paolo Moricoli, la minoranza c’è tutta, ma non basta. La presidente vicaria Patrizia Frittelli, fresca come una rosa, aggiorna la seduta alle 16.45.
Ore 17.25, secondo appello, idem come sopra. “La seduta è deserta”, certifica il segretario. Frittelli, con un filo di voce, manda tutti a casa: “Avrò cura domani di contattare i capigruppo per il prossimo consiglio”. Che si terrà già domani.

Non è bastato un mese di carica vacante (Filippo Rossi si è dimesso il 21 gennaio), non sono bastati i rinvii furbetti – la settimana scorsa, con “la scusa più stronza”, per dirla alla Verdone, della visita in città del presidente Zingaretti -, non sono neanche servite le riunioni ad oltranza degli ultimi due giorni. La maggioranza non è riuscita a trovare un nome condiviso su cui puntare per la presidenza del consiglio comunale. Civici contro Pd, Pd pure spaccato nelle ultime ore, candidature bruciate, muro contro muro, veti e divieti, orti e orticelli. Francesco Serra è stato il primo ad essere falciato dal fuoco incrociato, già lunedì nella riunione dei democratici. Via via tutti gli altri, da Maurizio Tofani, figura non certo immacolata visto che suo malgrado ha la condanna per il crack del Cev, a Livio Treta e Marco Ciorba, che in quanto civici anche loro avrebbero rappresentato seconde scelte rispetto allo stesso Tofani. L’ultima speranza, la giravolta richiamando in servizio Filippo Rossi (che però si sarebbe dovuto rimangiare le critiche rivolte ai lacci e lacciuoli imposti dal ruolo, pronunciate all’atto delle dimissioni) è naufragata quando lo stesso Filippino ha detto no. Ma potrebbe anche essere lui la carta disperata da rigiocare quando si dovrà rivotare: magari una presidenza a tempo, in attesa del rimpasto annunciato a primavera, in vista delle elezioni provinciali e di nuovi, fantasmagorici, giochetti.

Leonardo Michelini

Leonardo Michelini

Trentatre giorni di attesa, insomma, due ore oggi a bagno maria in aula, mentre la maggioranza si scannava allegramente in conclave. Senza rispetto per chi aspettava – non tanto la minoranza e la stampa, quanto per i semplici cittadini presenti -, senza che il buonsenso, come lo spirito santo, calasse ad illuminare i nostri. E anche i presunti poteri da mediatore del sindaco Michelini (da qualcuno tratteggiato come una specie di giudice Santi Licheri, in grado di dirimere qualsiasi controversia) se ne sono andati presto a farsi benedire.

A proposito di Michelini: qualcuno si sarebbe aspettato che il sindaco, dopo due ore di riunione infruttuosa, ieri spedisse in sala d’Ercole tutta la sua maggioranza e la costringesse a votare. Anche se divisa, per sottolineare pubblicamente quale Vietnam sia diventata oggi la coalizione che appena venti mesi fa aveva conquistato Palazzo dei priori. Per dire: “Ecco, questi siamo”. E ognuno si sarebbe così preso le sue responsabilità. Sarebbe stato un gesto coraggioso, forse troppo. Così come coraggiosa, al limite dell’eroismo, sarebbe la mossa delle dimissioni dello stesso primo cittadino per responsabilizzare i suoi e spaventarli con l’ipotesi del “tutti a casa”. Potrebbe farlo già domani, se la sua truppa non avrà fatto pace e prodotto un nome condiviso da votare. Perché un’altra figuraccia, nel consiglio di domani, non è contemplata. Anche se dopo aver toccato il fondo si può sempre cominciare a scavare, per andare ancora più giù.

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