Salvataggio di Talete, il Comune di Viterbo dimostra di volerci provare fino in fondo, forse perché deve – è l’amministrazione di riferimento della sessantina che fanno parte della società di gestione idrica – o forse perché adora le missioni impossibili. Già, perché a prescindere da quello che è stato fatto ieri, la sopravvivenza dell’azienda è tutt’altro che scontata, e aggrappata ad una serie di passi, provvedimenti e botte di fortuna che dovranno verificarsi di qui a breve. E non è detto che bastino.
In ogni caso, alla fine di un pomeriggio interminabile, con oltre cinquanta lavoratori (senza stipendio, sciopereranno il giorno 27) della spa, tra sospensioni, riunioni, richieste di pareri tecnici e correzioni volanti, è stato partorito un ordine del giorno. Ricalcato su quello proposto la settimana scorsa dalla maggioranza e aggiornato col contributo di buona parte della minoranza. Morale della favola: ci sono le firme del Pd, di Oltre le mura, di Viva Viterbo, della lista civica dei Diritti (Treta, per capirci), di Forza Italia, di Fratelli d’Italia, di FondAzione e del Gruppo misto. Larghe intese lodevoli, perché il tema è urgente e interessa tutti. Restano fuori gli ultrà dell’acqua pubblica Movimento Cinque Stelle e Viterbo2020 (che ha presentato 33 emendamenti), con Sel un po’ più morbida.
Nell’ordine del giorno – che comunque, va ricordato è un atto d’indirizzo abbastanza scollegato da risultati pratici immediati – il Comune annuncia la ricapitalizzazione, nella speranza che gli altri colleghi della provincia lo seguano a breve. Serviranno 900mila euro, da trovare nelle pieghe del bilancio o forse con l’istituzione di un apposito capitolo dello stesso (idea della minoranza). Prevista anche l’individuazione di “un esperto di finanza locale” che possa studiare un sistema il meno impattante possibile sui conti delle amministrazioni coinvolte. Via libera anche al Parca, e all’istituzione di un manager all’interno di Talete che fissi tempistiche e responsabilità del piano di rilancio. E naturalmente l’impegno di “attuare con sollecitudine le procedure affinché Talete abbia accesso sul breve periodo al credito per consentire la programmazione” e soprattutto per evitare disservizi e pagare i dipendenti.
Eccoli, i dipendenti. Operai e quadri, giovani e meno giovani, arrivato in piazza del Comune con precisione svizzera (il consiglio è iniziato invece tre quarti dopo l’ora annunciata: bella figura), e saliti in sala d’Ercole in silenzio, con un’educazione e un’umiltà ammirevoli. Nelle lunghe pause di sospensione hanno respinto con classe i tentativi di approccio di qualche consigliere peone che tentava il dialogo. Lapidaria (e da rifletterci su) la frase: “Questi non sanno neanche di cosa stanno parlando”. In aula si vede anche il loro presidente, quello Stefano Bonori che sa benissimo quanto sia fondamnentale la scelta di Viterbo per indirizzare a catena tutti gli altri Comuni: la prima tessera di un domino che cade.
Alla fine è Francesco Serra, capogruppo del Pd, a leggere il documento partorito. Nelle premesse iniziali, anche alcuni impegni raccomandati alla Regione (di sostenere l’Ato debole, di commissionariare i Comuni che non entrano in Talete, di farsi sentire con le banche): tutta roba da verificare, visto che a Roma in sostanza possono fare quello che vogliono senza rendere conto alla provincia zoticona. Così come sembra una captatio benevolentiae di facciata il riferimento all’acqua pubblica, al risultato del relativo referendum e alla legge regionale sul tema, prontamente impugnata tra l’altro dal Governo. Un accenno all’acqua pubblica c’è anche nelle conclusione: “Al raggiungimento del pareggio di bilancio di Talete si potrà valutare la misura di far tornare pubblico il servizio di gestione idrica”. Come a dire: quando gli asini di Piascarano voleranno, ne potremmo anche parlare.