Alla fine, due opposte chiavi di lettura. La prima, più buonista: “E’ stata un’occasione di confronto, e l’istituzione di un tavolo di lavoro alla lunga porterà alla soluzione”. La seconda, pessimista cosmica: “Un altro passaggio a vuoto, mentre il tempo passa e le cose peggiorano”. Ma forse dopo questa riunione indetta ieri mattina dalla Provincia, alla quale hanno partecipato 19 rappresentanti dei 63 enti (e questo già la dice lunga sull’interesse che c’è) che compongono l’Ato, l’Ambito territoriale ottimale della Tuscia, c’è anche una terza valutazione da fare sulla sorte di Talete spa: più va avanti questa storia e più sembra intrigarsi. Emergono nuovi problemi, ostacoli che sembrano insuperabili, le vie d’uscita si restringono e soprattutto aumentano i debiti e diminuisce il tempo.
Ci voleva la presenza dei responsabili finanziari dei vari Comuni per chiarire certi aspetti che finora erano stati ignorati (chissà quanto involontariamente) dai sindaci. Il ragioniere capo del Comune di Viterbo, Stefano Quintarelli, spiega per esempio un paio di concetti chiave. Per esempio che la ricapitalizzazione, per salvare Talete, non si può fare: “Perché la condizione prevista dalle legge è che si ricapitalizzi in presenza di una spesa di investimento, per un progetto. Perciò questo strumento non farebbe fronte alla crisi di liquidità della società, che dipende principalmente da due cose: il non incasso dei crediti e le spese di gestione”. Si potrebbe fare la capitalizzazione: “Che è la strada percorsa più volte negli ultimi anni. E’ possibile farlo, ma non risolve la crisi di liquidità, anche perché non è possibile per una società pubblica chiedere una fideiussione per usarla per coprire i debiti”. Anche perché sennò sarebbe un gigantesco circolo vizioso: fare debiti per coprirne altro. Terza strada: “La crisi potrebbe essere risolta grazie all’intervento di un soggetto terzo che istituzionalmente fornisce le garanzie affinché Talete abbia accesso ad un credito bancario”. Ma Talete viene da dieci anni di bilanci chiusi in equilibrio, senza aver mai dato un dividendo ai soci, e ha crediti che difficilmente saranno recuperabili. Nonostante gli sforzi del presidente Bonori (presente in aula), che ha rivendicato per l’ennesima volta il suo Parca e la task force per stanare i morosi. E infatti quei sindaci che hanno pagato i lavori alla rete idrica pur non essendo entrati in Talete, oggi chiedono che anche gli altri lo facciano.
Certo, Talete “ha bisogno di un’iniezione immediata di risorse”, come dice il presidente della Provincia Meroi, anche perché se dovesse fallire manderebbe in default tutti i Comuni-soci. E anche la capitalizzazione sarebbe un problema, perché si sfiorerebbe il patto di stabilità e perché certi paesi più piccoli non ce la farebbero proprio (Il sindaco di Arlena: “Col nostro bilancio anche 10mila euro ci metterebbero in ginocchio”). Resterebbe una strada: bussare alla porta della Regione e chiedere aiuto concreto. Ma dalla Capitale tacciono, o si cimentano in dribbling alla Messi quando vengono chiamati in causa: Meroi ad un certo punto legge il comunicato stampa di Zingaretti, che smentisce che domani sarà a Viterbo “anche per parlare di Talete”, come aveva scritto un quotidiano. I pochi in aula che ci credevano barra speravano ci restano malissimo.
Si finisce con la promessa di istituire un tavolo ristretto di sindaci e dirigenti degli uffici finanziari dei Comini, che entro qualche giorno fornisca qualche suggerimento utile. Quintarelli dice: “Prima di pensare al passato, ai debiti pregressi, bisognerebbe capire qualche sia il punto di equilibrio finanziario di questa società. Se Talete fattura 22 milioni l’anno, quando lascia sul tavolo per le spese? Finché si genera solo per il fabbisogno, è inutile fare qualsiasi altra valutazione”. Come dire: se la macchina è fatta male è inutile aggiustarla, perché non durerà. E una rappresentanza di dipendenti ci mette la ciliegina sulla torta, giustamente: “Continuate ad esprimervi con le buone intenzioni, ci sembra di capire che non ci sia ancora un’idea chiara. Siamo pronti ai sacrifici, ma siamo pronti anche a chiedere conto a chi, per legge, doveva controllare la società partecipata”. Parole che ricordano un crack già avvenuto, vedi alla voce “Cev”.