Il tweet di Egidio da Viterbo è delle 14,52: “Auguri presidente!!! Nei fatti di ogni giorno e nella testimonianza di vita quotidiana, gli italiani scopriranno un grande Presidente!!!”. Sorvolando sull’abbondanza di punti esclamativi, Peppe Fioroni alias Egidio da Viterbo si congratula così con Sergio Mattarella, appena eletto dodicesimo presidente della Repubblica italiana. Tutto normale, si direbbe: un democristiano che si compiace dell’elezione di un altro democristiano. E che c’è di strano? In realtà, le cose non starebbero così, almeno nella ricostruzione che ne fa Fabrizio De Feo su “Il Giornale”: “C’è una perfetta regia democristiana dietro lo spregiudicato ribaltone messo in campo da Matteo Renzi sul Quirinale”. Tutto, secondo il giornalista del quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, sarebbe stato concepito in occasione della cena del 14 gennaio nel ristorante romano Scusate il ritardo, di cui larga parte della stampa nazionale aveva dato già conto.In quella circostanza, alla presenza del vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini e del portavoce di Area dem Simone Valiante, si sarebbe cominciato a parlare del futuro capo dello Stato. Il candidato di Renzi era, o sarebbe dovuto essere, Giuliano Amato, in modo da tener fede al patto del Nazareno stretto con Berlusconi e con il suo plenipotenziario Verdini. Ma con un lavorio ai fianchi degno della migliore scuola dc, il Peppe-Egidio viterbese cominciò ad insinuare il tarlo del dubbio nella mente del presidente del Consiglio: “Amato non sarà mai il «tuo» presidente – scrive De Feo -. Avrai piuttosto un presidente riconducibile in prima battuta a Berlusconi, ma indirettamente anche ai Bersani e ai D’Alema con i quali l’ex presidente del Consiglio socialista ha sicuramente maggiore familiarità e consuetudine. Quali tutele reali ti potrebbe assicurare un capo dello Stato come Amato?”.
Il primo passo era stato compiuto, ma prima di lanciare nella mischia Sergiuzzo da Palermo bisognava sgombrare il campo da altri pretendenti della stessa area. E così nasce, ma tramonta abbastanza presto la candidatura di Pier Luigi Castagnetti, reo di avere “scarso feeling con il nuovo corso del Pd e con lo stesso Renzi”. Contestualmente parte il tam tam verso le altre componenti democratiche: Bersani, D’Alema, Cuperlo, Civati e via cantando. Cambia la location: per Il Giornale il vero fulcro diventa Palazzo San Macuto, sede delle riunioni della commissione d’inchiesta sul caso Moro, presieduta (ma guarda un po’…) dallo stesso Fioroni.
La rincorsa è partita ed ecco Mattarella diventare il candidato del Matteo da Firenze. Che non può e non vuole rischiare le figuracce di due anni con il Pd spaccatissimo e due candidati (Marini e Prodi) mandati al massacro e impallinati dai franchi tiratori. Dietro Sergiuzzo si allineano tutti: l’intero Pd, poi Sel, poi Scelta civica (e ti pareva…), i fuoriusciti del Movimento 5 stelle, alla fine anche il Nuovo centro destra (meglio allinearsi: caso mai qualcuno pensasse di mettere in discussione le poltrone governative…) e pure una sessantina di franchi tiratori. E il patto del Nazareno? Adesso non serve. Perché, nonostante gli sbuffi di Brunetta e le vergate di Fitto, alla fine decide Berlusconi. E comunque sarà difficile spiegare come mai prima del 31 gennaio i forzitalioti le riforme le votavano senza battere più o meno ciglio ed ora invece diranno no a quelle stesse, identiche proposte.
Insomma vince Matteo da Firenze su tutta la linea con il capolavoro di tre maggioranze: una per il governo, una per le riforme e una per il presidente della Repubblica. Ma il vero regista è lui: Peppe Fioroni – Egidio da Viterbo (quartiere Pianoscarano).