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Santa Rosa: ecco Gloria e le sue sorelline

Da ieri e fino al 1 marzo i progetti esposti agli Almadiani

Gloria, il progetto che ha vinto

Gloria, il progetto che ha vinto

Nessuno le può giudicare tranne i viterbesi. Cantano loro, quelle che sarebbero potute diventare Macchine di Santa Rosa e che invece resteranno per sempre idee, progetti, in alcuni casi bozzetti in scala (che poi sembrano delle Macchine mai cresciute, condannate al nanismo in eterno e magari trasportate da Puffi).

Da ieri e fino al primo marzo (orario: dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19) sono tutte qui, alla ex chiesa degli Almadiani, esposte alle critiche, agli apprezzamenti, alle sensazioni e alle emozioni della gente comune, quella gente comune che ancora non le può scegliere con un voto popolare e che deve accontentarsi di vederle dopo che la burocrazia ha fatto il suo corso.

Alcuni bozzetti in concorso

Alcuni bozzetti in concorso

E infatti: la commissione comunale qualche settimana fa – al termine di un lunga e complessa valutazione – ha decretato Gloria, di Raffaele Ascenzi, la Macchina migliore, l’unica degna di essere trasportata per i prossimi cinque anni (salvo proroghe) ogni 3 settembre in quel rito magico che abbiamo solo noi. E Gloria è qui, nel posto d’onore al centro della sala, con bozzetto allegato e Raffaele che la guarda da lontano, star molto sobria e famigliare della serata. Vicino alla regina stanno la seconda e la terza in graduatoria, e poi tutte le altre, in un percorso circolare fatto di disegni e misure, proporzioni e rendering, ore di lavoro e di speranze spese dai meglio professionisti della città soltanto per partecipare ad un sogno.

Il risultato è un viaggio nel quale i visitatori si avventurano volentieri visto che già ieri, dopo l’inaugurazione,sono arrivati numerosissimi, dopo che la mostra è slittata anche perché il popolo di Rosa ha dovuto affrontare, nel frattempo, un lutto micidiale, la scomparsa del Padre della patria Nello Celestini.

Raffaele Ascenzi, progettista della Macchina vincente

Raffaele Ascenzi, progettista della Macchina vincente

Curiosità e spirito critico si mischiano nei commenti, insieme ai gusti, sui quali è meglio sempre non disputare, come diceva quello: “Per carità”, esclama un signore di mezza età osservando da vicino un modello un po’ troppo ardito. Una signora in pelliccia, su un altro schizzo:”Poi bisognerebbe sempre vederla dal vivo, per le strade buie della città. Tutto un altro effetto”. Altri ancora  fotografano tutti i progetti, uno ad uno, per poi magari rivederseli con calma, a casa.

Ad occhio, i 42 modelli esposti possono essere divisi in tre categorie: le Macchine classiche, cioè quelle che rispettano i canoni tradizionali fissati alla seconda metà del Novecento (c’è Gloria, ma ci sono anche le altre arrivate nei primi posti della classifica); le Macchine ruffiane, quelle che ricalcano la tradizione in modo grossolano, nella speranza di intercettare la benevolenza della giuria; e infine le Macchine avveneristiche, talmente audaci da sembrare progettate da qualche ingegnere della Nasa (ma al viaggio su Marte manca ancora un sacco di tempo) o da qualche bambino creativo con i suoi mattoncini Lego.

Il taglio del nastro del sindaco Michelini

Il taglio del nastro del sindaco Michelini

Per la cronaca, ha tagliato il nastro il sindaco Michelini, da ieri senza più gesso al polso infortunato (ha solo il tutore). Ha fatto un discorso pieno di ringraziamenti, precisando che questa mostra “è fatta in casa, al risparmio”. Non sembra venuta malissimo, a parte qualche pecca nelle luci e una musica classica troppo alta in sottofondo, tanto da far venire la voglia di improvvisare un valzer con una di quelle hostess così carine che stanno all’ingresso.

E i Facchini? Dal sindaco nessuna citazione, figuriamoci scuse. Eppure che il Sodalizio non sarebbe stato presente si sapeva già da qualche tempo. Viene da chiedersi per quanto tempo Palazzo dei priori voglia far finta che si possa celebrare Santa Rosa dimenticandosi (più o meno volontariamente) dei Facchini. Come parlare di Luna senza citare Armostrong, come raccontare la Commedia ignorando Beatrice, come discutere di Roma sorvolando su Giulio Cesare. Questa si chiama ipocrisia. E se in questa mostra c’è un buco, be’, il buco riguarda proprio loro, quelli che la Macchina la portano, l’hanno sempre portata e continueranno a portarla, malgrado tutto, e tutti.

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