“A casa mia si parla solo di Santa Rosa. E naturalmente delle cose di famiglia”, dice Pino Loddo, e lo dice sul serio. Il capofacchino della Minimacchina del Pilastro è stato appena rieletto per la 44esima volta (è anche il vicepresidente del comitato festeggiamenti guidato da Angelo, uno dei suoi figli) e ad ascoltarlo viene da pensare che in fondo questo è il genius loci. Perché se c’è una cosa – per di più astratta – che accomuna tanti viterbesi è proprio la Santa, la festa, la Macchina, i Facchini. Non c’è religione (nella versione più filosofica del termine) o idea politica che tenga: il senso di comunità, da queste parti, lo fa Rosa. Ed allora vale la pena ascoltarlo ancora, il capofacchino più longevo che ci sia, e magari anche qualcuno che considera la viterbesità come un fattore negativo, gretto e provinciale, potrà ricredersi.
“Ho cominciato per caso. Il capofacchino del Pilastro era Filippo Aquilani. La Minimacchina era nata come un gioco dei ragazzini della parrocchia: qualche cartone, un giro per il quartiere. Poi fu il grande Zucchi, l’ideatore di Volo d’angeli a regalare una guglia proveniente da una Macchina grande grazie all’interessamento del parroco, don Enzo. Io accompagnavo mio figlio maggiore, Massimo, che all’epoca faceva il minifacchino, così iniziai ad avvicinarmi a quell’ambiente. Non avevo potuto fare il facchino vero e proprio, quand’ero giovane, per dei problemi di salute, ma sono sempre stato devotissimo di Santa Rosa. Per un paio d’anni feci la guida, poi quando Filippo smise mi chiese di prendere il suo posto. E sono ancora qui”.
Fare il capo dei minifacchini è quasi come fare l’allenatore di una squadra di calcio giovanile. Responsabilità, polso, capacità di comprensione, spirito di sacrifico. “Io dico sempre che noi siamo una scuola. Noi, e gli amici della Minimacchina del centro storico. Perché abbiamo il compito di far capire ai ragazzi che cos’è Santa Rosa. Li teniamo fino a quattordici anni: dopo, qualcuno smette, qualcuno diventa facchino vero e proprio. Con il presidente del Sodalizio Massimo Mecarini abbiamo calcolato che dal nostro ‘vivaio’ è arrivata una quarantina di facchini sotto la Macchina vera e propria. Non sono pochi, perché dopo i 14 anni bisogna aspettare i 18, la maggiore età, per fare le prove di portata dei grandi. E quattro anni, a quell’età, è un secolo: si possono cambiare interessi, si può perdere la passione. Ci si fidanza, certo, anche se a dire il vero le ragazzette strizzano l’occhio anche ai miei, di ragazzi”. L’intramontabile fascino della divisa.
La domanda che viene da fargli, al capo, è se le “vocazioni” siano in calo. Se i nostri ragazzi non abbiano più la voglia di fare il minifacchino, se la cosa sia passata di moda e sostituita da altri riti moderni, anche se è a ben vedere non si può mica replicare un Trasporto per gioco, alla Playstation: “No, nessun calo. Oscilliamo sempre tra i cento e centoventi ragazzi. L’anno scorso erano 124, per dire. Spesso dipende dai genitori: c’è chi non è interessato, e d’estate vuole farsi le sue ferie, e dice al figlio che non può accompagnarlo alle prove. Per me non è un problema, non chiedo mica un impegno totale: mi basta che i ragazzi siano in città due o tre giorni prima, li valuto, faccio la formazione e si va”.
Oggi la Minimacchina del Pilastro è la replica in piccolo di Spirale di fede, l’indimenticabile modello di Rosario Valeri e di Palazzetti. “Una Macchina a cui sono particolarmente legato – dice Loddo – perché ho vissuto i due Trasporti eccezionali da vicino, prima per Televiterbo e poi, quando venne Papa Paolo Giovanni II con una jeep a fare da apripista al santo padre. La nostra, oggi, in scala, è bellissima ed è un orgoglio guidarla per le vie del quartiere. E per l’anno prossimo ci saranno anche delle piccole novità per renderla ancora più bella”.
Facchini e minifacchini, come funzionano i rapporti? “Ottimi. Io dico sempre che siamo cugini, figuriamoci. E poi, la divisa che portiamo è loro, del Sodalizio. Chiediamo il permesso, non ci permettiamo di fare nulla senza parlarne insieme. E’ una questione di rispetto, di confronto. I capofacchini? Il primo con cui ho avuto contatti è stato Nello Celestini, negli anni Settanta (va detto per correttezza che questa intervista risale a qualche giorno prima della scomparsa del presidentissimo, ndr). Oggi con Sandro Rossi c’è una grande amicizia. Quando dovevo guidare per la prima volta Spirale di fede, che coi suoi dodici metri è la Minimacchina più maxi che abbiamo avuto nel quartiere, gli ho chiesto dei consigli. Che devo fare, Sandro? E lui: che devi fa’? Guarda in alto e cammina”. Ed è stato un trionfo.
Pino Loddo compirà 70 anni a giugno. E visto che viviamo in un tempo di rottamazioni spietate, è normale chiedergli quando ha intenzione di smettere, semmai si possa mai smettere di essere capofacchino. Lui risponde sincero: “Ci penso, perché è normale pensarci. Però la mia devozione è totale, e finché sentirò questa cosa dentro andrò avanti, sempre con lo stesso entusiasmo. Un giorno si vedrà, e se proprio devo indicare un erede non posso che pensare a mio figlio”. Per lasciare in buone mani, s’intende.