Nel 1950 la produsse per primo tale Abbott. Otto anni dopo fu Roger Bacon a migliorarla, partendo da sottili filamenti di grafite. E solo nel ’69, in seguito ad una tortuosa serie di migliorie, si arrivò ad ottenere il prodotto così come lo si conosce attualmente. Nemmeno dodici mesi più tardi, infine, stava già in commercio (sia chiaro, è roba per pochi). Non è pertanto impossibile imbattersi, oggigiorno, in auto da corsa, biciclette, canoe, sci nautici, suole per scarpe da calcio, mazze da golf, canne da pesca, racchette da tennis, caschi di protezione, carrozzerie e componenti per auto da competizione, realizzati in pura fibra di carbonio.
Ed il materiale, via via, pare destinato a divenire di utilizzo quotidiano e non solo sportivo. Grazie anche, anzi soprattutto, ad una ditta viterbese. Una delle poche ma piacevoli eccellenze di casa. L’impresa si chiama Dimar group, settore pelletterie. Quartier generale Valentano. Borgo da lungo tempo impegnato nel campo in questione. Paesino a due passi dalla Toscana dove come funghi spuntano fabbrichette, di norma a conduzione familiare.
La Dimar è appena entrata, con classe e prepotenza, nell’alta moda romana (settore mai in crisi). Ritagliandosi un preziosissimo spazio nel comparto accessori innovativi. La novella proposta, nata dalla vena creativa della stilista Tania Pezzullo, porta il nome di brand Monteneri. Ok, ma di cosa si tratta? “Una linea mirata ad un target di professionisti, prevalentemente uomini – spiegano i titolari Angelo Cionco e Fabio Martinelli – ma anche donne, sensibili alle nuove tendenze. Cartelle da lavoro, zaini tecnici, trolley, porta Ipad, porta Mac, ma anche futuribili clutch da signora”.
Una vagonata di cose, insomma. Svelate in Capitale e in occasione dell’evento A.I. (Artisanal Intelligence), a Villa Poniatowski e di dentro alla galleria d’arte contemporanea AlbumArte, uno degli eventi di Alta Roma, la settimana della moda capitolina. L’Artisanal Intelligence è un contenitore che punta su chi riesce a reinventare materiali, conferendo loro nuove funzioni d’uso. Mica male, insomma. E perché proprio il carbonio? “Doti di resistenza – prosegue la coppia – ma anche capacità di adattamento alle nuove tendenze. Siamo riusciti a far sposare l’artigianalità tradizionale nella lavorazione della pelle con l’innovazione tecnologica”.
E la cosa è piaciuta. Parecchio. Tant’è che la Dimar, di rientro con buon esito dalla “Maker Fair” di New York, si sta velocemente avvicinando anche ai mercati indiani.