C’è Guccini a Viterbo, e che farfalle nello stomaco: sarà emozione o solo appetito da gnocco fritto e tigelle? C’è Guccini a Viterbo, dice che è arrivato venerdì e che ieri ha già partecipato all’incontro organizzato dall’Archivio di Stato nella sala Alessandro IV di Palazzo papale sulla strage di Portella della Ginestra.
In effetti eccolo, il maestro, il cantore dell’Italia di provincia (ma non di bordello), il genius loci dell’Appennino Tosco-Emiliano: è seduto in seconda fila, imbacuccato perché qui fa freddo, con l’occhio a mezz’asta. “E’ stanco, un po’ influenzato”, spiega chi per tutta la settimana ha cercato di organizzare una breve intervista con Viterbopost. Intervista rimandata, naturalmente, e ci può stare: il cronista è abituato ad essere rimbalzato, sia dal Grande Cantautore sia dalla biondina che sorseggia vodka tonic in fondo alla discoteca.
L’incontro, tra l’altro, è interessantissimo. Documentatissimo. Con retroscena clamorosi e relatori brillanti. La strage di Portella, anno 1947, del resto, è uno di quei misteri italiani irrisolti, gonfi di dietrologie, di complottismo e di strumentalizzazioni più o meno politiche. E il fatto che il processo alla banda del bandito Giuliano si sia celebrato proprio a Viterbo ci condanna in eterno a sopportare tutta questa liturgia laica e pallosa. Ma che colpa abbiamo noi.
Comunque Guccini è lì, stoico, scortato dal fedele Loriano Macchiavelli (autore con lui dei libri, tra cui l’ultimo, La pioggia fa sul serio) e isolato perché nessuno dei pure numerosissimi fans in sala oserebbe mai avvicinarlo, disturbarlo. Non si importuna così un mito, del resto, specie se è un mito antimodernista, testimone dell’antica civiltà che non contemplava cellulari e selfie, al massimo qualche rarissimo autografo, ma solo se chiesto col giusto garbo. E infatti, la sala è piena di adepti del verbo: anzianissimi professori anarchici in pensione, sciure ex sessantottine ora in pelliccia (non è dato sapere se ecologica), il senatore Sposetti, studentesse molto fighe ma evidentemente caste, perché all’epoca non usava darla via: si dava e basta. Talmente inquadrato, il pubblico, da esibirsi in un’usanza che ormai si credeva scomparsa e che neanche il Francesco scrittore aveva osato ricordare nel suo Dizionario delle cose perdute (altro libro): l’usanza, cioè, di azzittire con violenza chiunque si permetta di alzare la voce (aggravante: per rispondere ad una telefonata) durante la conferenza. Subito scatta uno “ssssttt” talmente categorico che in confronto i moniti papali sembrano degli innocenti ruttini.
E Guccini? E’ stanco e influenzato, eppure ieri sera ha partecipato ad una cena che ha mandato in solluchero i radical chic viterbesi, pronti ad annunciare su Facebook frasi del tipo “Stasera sto a cena con Cirano”. E speriamo che non abbiano mangiato tartufi, per questioni di naso. Anche per oggi sarebbe previsto un pranzo, e pure in questo caso c’è già chi lo ha anticipato sul Web, forse per mettere un po’ d’invidia alla Viterbo sfigata che non è stata invitata e che dovrà rassegnarsi all’ennesima razione domenicale di lasagne della nonna.
Stamane invece l’autore della Locomotiva e dell’Avvelenata (prima regola: mai citare i vecchi capolavori al cospetto del maestro) è al teatro San Leonardo, insieme al Macchiavelli, per presentare sempre quel romanzo lì. Organizza Caffeina, che già lo aveva invitato questa estate salvo poi dover annullare tutto per impegni dell’autore. Che in compenso scrisse una lettera pubblica di scuse: la cara, vecchia lettera di scuse, magari col francobollo da dieci lire e la leccata fantozziana. Si comincia alle 11, si paga 3 euro e 50 e già in prevendita i biglietti sono andati a ruba.